Invia per email
Stampa
ROMA. Franco Roberti, il procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo, legge le nuove norme sui tre mesi per chiudere le indagini ed esplode: «Sono superflue e pericolose perché introducono termini iugulatori che difficilmente il pubblico ministero può rispettare. Quindi contribuiscono solo a burocratizzare la sua funzione e rischiano di strozzare il momento più delicato della sua attività, la valutazione degli elementi di prova raccolti».

Perché lei dice che sono norme «superflue», c’erano già nel codice e le riscrivono?
«Parto da una norma molto importante ma poco citata del codice di procedura, l’articolo 124, che obbliga tutti i pubblici ufficiali che intervengono nel processo, a cominciare dai magistrati, a osservare le norme. Il 124 obbliga il capo dell’ufficio a vigilare sul rispetto delle regole “anche ai fini disciplinari”. Il procuratore generale vigila a sua volta su questo sistema, come già prevede la legge».

Se è già tutto scritto perché si fa una legge in più?
«Anziché burocratizzare il processo penale con nuove norme, bisognerebbe far funzionare bene quelle esistenti, valorizzando il ruolo di controllo dei dirigenti. Nel codice di procedura c’è già l’articolo 405 che recita: “Il pm chiede il rinvio a giudizio entro 6 mesi dalla data di iscrizione della persona indagata”, termine prorogabile fino a 2 anni per i reati più gravi coma mafia e terrorismo».

Ma il governo ora v’impone di chiudere tutto in tre mesi, a pena di avocazione...
«Il rispetto di questo termine può non dipendere dal pm, perché la polizia giudiziaria può non aver depositato l’informativa finale, perché il pm, in indagini complesse, sta studiando a fondo gli atti o perché il gip non ha ancora risposto sull’eventuale richiesta cautelare. L’intervento del Pg cadrebbe come una mannaia nella fase più delicata delle indagini, quella della valutazione delle prove in vista della richiesta finale. Senza contare che il pm è obbligato a cercare anche le prove a favore dell’indagato e ciò può comportare ulteriori dilazioni».

Se il pm è lento non è giusto minacciare l’avocazione?
«Nuove norme sono superflue. Basta leggere il codice di procedura dall’articolo 405 in avanti che disciplina già l’intervento del pg in caso di inerzia del pm. Allora perché complicare ulteriormente questa fase già complicata? Da un lato si chiede al pm la massima ponderazione nel valutare i fatti, dall’altro lo si inchioda a un ulteriore termine a pena di avocazione. E non si valorizza, come si dovrebbe, il ruolo di controllo del capo della procura».

Il viceministro Costa dice che se si allunga la prescrizione serve un bilanciamento.
«Non sono d’accordo perché, come ho già detto, la prescrizione dovrebbe essere bloccata con il rinvio a giudizio, mentre è inutile e dannoso prolungarne a dismisura i termini, com’ è stato fatto per la sola corruzione, in quanto significa solo rischiare di rimandare alle calende greche la definizione del processo in barba al principio costituzionale di ragionevole durata del processo».

Forse si vuole punire il pm visto che si prevede anche un illecito disciplinare se iscrive gli indagati con ritardo.
«Altra novità superflua perché c’è già l’articolo 335 del codice che obbliga il pm a iscrivere immediatamente la notizia di reato e il nome dell’indagato dal momento in cui risulta, violazione passibile di sanzione disciplinare ».

Ascolti fraudolenti, restano 4 anni di galera per chi registra un colloquio.
«Inutile doppione perché già esiste l’illecita interferenza nella vita delle persone. Penso soprattutto alla vittima di estorsione o usura che registra i colloqui col proprio aguzzino. È vero che la norma la fa salva in sede giudiziaria, ma l’effetto potrebbe essere quello di un’ulteriore deterrenza per chi vorrebbe collaborare alle indagini. Ma la legge dovrebbe almeno definire il concetto di fraudolenza».

È necessaria una legge per stabilire quali intercettazioni usare nelle ordinanze?
«Invito tutti a leggere una direttiva del procuratore di Roma Pignatone sulla rilevanza o meno di un’intercettazione e sulla sua trascrizione. Nei casi dubbi di rilevanza, la polizia deve
sottoporre il testo al pm che deciderà se va trascritta e riportata nell’informativa. È un eccellente esempio di assunzione di responsabilità del capo dell’ufficio e del pm che, se applicato sempre, renderebbe superfluo ogni ulteriore intervento normativo ».