domenica 29 gennaio 2017

Nel PD che frigge spunta la candidatura di Emiliano segretario

Come dicevamo, sabato 28 è stata una giornata campale per il PD, per il suo Segretario e per coloro che, essendo stati messi all'angolo nelle idee e nel partito, non lo amano (e come non capirli). Si sono trovati in posti diversi: Renzi a Rimini con gli amministratori italiani, D'Alema a Roma per costruire "Consenso", un movimento a sinistra che è pronto allo strappo con il Segretario: non lo dichiara apertamente però dice:"State pronti alle evenienze, se Renzi tirerà diritto, verso nuove elezioni come scusa per fare pulizia etnica dentro il PD".  
Nel pomeriggio a Rimini poi, Renzi non gli darà neanche la soddisfazione di nominarlo, preferendo concentrarsi su Grillo, "il nemico da combattere".
Bersani è a Piacenza, si fa vivo via Facebook con un "Ci siamo", ma è chiaro da che parte sta: dicono che ha persino ripreso a parlarsi con D'Alema. Nell'aria ci sono i nomi degli sfidanti alla segreteria: Bianca Berlinguer e Michele Emiliano. 
Insomma, il PD in questi giorni va a pezzi, e Renzi non potrà far finta di nulla. O si?
Ieri il governatore della Puglia ed ex magistrato, Michele Emiliano, è andato a esporre il suo punto di vista da Lucia Annunziata: se ne parla sul Fatto Quotidiano, ecco qui uno stralcio dell'articolo sull'edizione on line.
  




“Un congresso è necessario, se il segretario lo nega, allora è lui arrivare a una scissione, non gli altri”. Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia, attacca Matteo Renzi come principale responsabile delle divisioni che stanno animando il Partito democraticoDivisione fotografate da quanto accaduto sabato: nel giorno in cui il segretario del Pd tornava sulla scena dopo la sconfitta del 4 dicembre convocando a Rimini l’assemblea degli amministratori locali, la minoranza dem si è data appuntamento a Roma con Sinistra Italiana, per ripartire dai Comitati del No. “La scissione parte da chi non rispetta le norme dello statuto e ora il segretario del partito non lo sta rispettando”, è la posizione di Emiliano, intervistato da Lucia Annunziata a ‘In mezz’ora‘. Alle sue parole replica il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini: “Le regole sono chiare. Emiliano la smetta con le mistificazioni”. Sulla stessa linea il presidente dem Matteo Orfini, che lo invita a conoscere meglio lo statuto.
L’attacco al segretario del suo partito continua: “Renzi sbaglia quando dice ‘poco importa se io perdo le elezioni, intanto salvo i miei’. Fanno come con Roma, dove mollare l’osso è stato gravissimo”. E, aggiunge Emiliano, “gli italiani per lui non intendono fare nulla, glielo hanno già dimostrato con il referendum. Lui non può fare degli italiani e del partito quello che gli pare. Se non convoca il congresso si può perfino arrivare alle carte bollate, quindi prima cominciamo meglio è. Poi ci impegniamo, io per primo, a ricostruire le ragioni dello stare insieme”. Tra l’altro, incalza ancora il governatore della Puglia, “il congresso si deve fare non solo per la tragedia politica del referendum, ma perché siamo anche alla fine del mandato del segretario”.
Emiliano non nasconde di essere un potenziale candidato alla segreteria e, se avesse potuto, sabato sarebbe andato a Roma dalla minoranza, non certo a Rimini. “Ero all’Aquila a partecipare ai funerali di un pugliese che è caduto con l’elicottero del 118 – racconta il governatore – la platea di Renzi rappresenta le mie origini, per me gli amministratori di questo Paese sono tutto”. Ma “Renzi parla fuori dal quadro, la sua sopravvivenza politica è un problema suo”, invece “D’Alema ha detto a tutti ‘io non sono della partita”. “Io e D’Alema ci siamo scontrati tante volte e in questo siamo diventati amici” ha commentato Emiliano.
“Se ci sarà bisogno di candidarsi mi candiderò – dice ancora – ma sono disponibile a vivere il processo con gli altri compagni di partito. Se capisco che questa candidatura sia utile che sia incarnata da me, lo farò”. Nel corso della trasmissione, Lucia Annunziata ha fatto notare a Emiliano che al momento intorno al suo nome come candidato alternativo a Renzi stanno maturando molti consensi. “Probabilmente perché – risponde – non appartengo all’area Bersaniana o D’Alemiana; sono stato uno dei sostenitori di Renzi, sono un uomo indipendente, non faccio parte di nessuna corrente. E probabilmente questo mi mette in una condizione di maggiore facilità nel federare tutte le altre aree di riferimento nel partito”. “Nessuno può pensare che io nei confronti del segretario del partito abbia sentimenti negativi”, ha poi precisato Emiliano. Se decidesse di candidarsi, sarebbe “la prima persona con cui andrei a parlare”, sostiene il governatore, che però alla domanda della stessa giornalista su quali rapporti ha ora con l’ex premier, risponde: “I rapporti fra Renzi e il resto del mondo mi pare che siano molto complicati al momento”.

sabato 28 gennaio 2017

Ma che bel lavoro ha fatto Renzi sul PD (Ravarino batti un colpo)

Sarò di certo una stupida utopista, ma contavo per quel che mi resta da vivere su una sinistra non dico unita ma almeno dialogante intorno ai temi dell'equità, dell'educazione e della protezione dei più deboli, attenta alla macchina dello Stato e a ridurre le  disuguaglianze, e le spese naturalmente. 
Come si sia invece ridotta questa sinistra, con l'apporto fondamentale di Renzi, lo vediamo tutti i giorni. Oggi è giornata di incontri e convegni e discussioni all'interno (interno?) del PD: questa cronaca di Repubblica di Giovanna Casadio ci restituisce una visione mortificante.
E mentre si attende che qualche piccola, anche insignificante notizia arrivi dal PD di Crescentino, a cura del segretario prorogato ad libitum Ravarino che tace dai tempi del referendum, vi invito a leggere  e a dire, se volete, la vostra. 


Giovanna Casadio, La Repubblica

Bastano gli appuntamenti del fine settimana a fotografare il Pd com’è. Il segretario Matteo Renzi sarà a Rimini oggi, all’assemblea dei mille amministratori dem. Dice che non parlerà di legge elettorale e data del voto, ma di ambiente, sicurezza, delle liste d’attesa nella sanità: per sentirsi sindaco tra i sindaci.

Nelle stesse ore a Roma i comitati “Scelgo No” al referendum costituzionale di dicembre, capitanati da Massimo D’Alema, tutt’altro che disposti a sciogliersi, si riuniscono in un Movimento, che avrà un nuovo nome: per la Ricostruzione del centrosinistra. Qui il parterre sarà affollato di leader della minoranza del partito, ci saranno Roberto Speranza, candidato bersaniano alla segreteria, e Michele Emiliano, il governatore della Puglia anche lui in corsa nella sfida a Renzi, il bersaniano Stefano Di Traglia e sindacalisti della Cgil.

In un clima sempre più surriscaldato dalla volontà di Renzi di andare a elezioni a breve, in primavera, e con una blindatura delle liste, il Pd fa i conti con una fibrillazione continua. E la parola scissione non è più un tabù. Se il segretario si irrigidisse nella sua strategia di corsa al voto, di liste bloccate e volesse davvero portare il Pd verso un listone da Alfano alla sinistra di Pisapia, allora la strada «obbligata » non può che essere quella della separazione.

D’Alema l’ha spiegato a più di uno tra gli invitati alla sua kermesse: «Se Renzi pensa di scoraggiare la possibilità di una scissione con soglie di sbarramento alte, come l’8% previsto per il Senato, si sbaglia. Perché noi supereremmo quell’8%. E al Sud prenderemmo più voti di lui». Insomma con liste senza sinistra, la separazione sta nelle cose.

Bersani e i bersaniani si muovono con più cautela. Ripetono sempre più spesso che il Pd deve cambiare, altrimenti è difficile sentirsi a casa propria. Non vogliono neppure sentire nominare l’ipotesi di un listone. Smentita del resto dallo stesso vice segretario dem, Lorenzo Guerini: «Sono scenari fantasiosi, mai pensato a un listone con dentro tutto e il suo contrario». Ma per molti sono giornate in cui si tastano tutte le possibilità. La battaglia per le candidature dentro il Pd sembra già cominciata. Ai bersaniani che contestano la “riserva” di candidature del segretario, i renziani rispondono: «Ma con la segreteria di Bersani ci furono i pre-assegnati e a noi toccò l’8%».

Renzi invita a restare sul concreto: «La gente vuole le nostre proposte, non le nostre polemiche ». A Rimini Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, ha preparato una scaletta di interventi che va da gli amministratori in prima linea nel terremoto a quelli che hanno saputo investire. Il segretario del Pd dirà che da qui si riparte da «una nuova classe dirigente di giovani preparati e con un forte radicamento sul territorio». Dall’altra parte - è l’affondo di Renzi - ci sono i soliti con le «solite vecchie discussioni ». Alla convention con D’Alema andrà oggi anche il bersaniano Miguel Gotor, che assicura: «Non andiamo via dal Pd, ma sfideremo Renzi e possiamo batterlo. La corsa alle elezioni è un errore, il Pd non può fare cadere il terzo governo guidato da un suo esponente».

Però tutto è in movimento. Francesco Boccia pensa a una raccolta di firme per chiedere il congresso anticipato del Pd: «Metteremo un banchetto anche a Pontassieve, sotto casa di Renzi». A Firenze l’11 e il 12 febbraio riunione dem organizzata da Cecilia Carmassi: «Complicato reggere liste blindate e la strategia annunciata da Renzi ». 

venerdì 27 gennaio 2017

Auschwitz, Guccini, il dovere della Memoria

Francesco Guccini ha partecipato a un documentario intitolato "Son morto ch'ero bambino", dai versi di una delle prime canzoni che scrisse, nel 1966, rimasta nell'immaginario collettivo. 
E' andato ad Auschwitz con gli studenti di una seconda media di Gaggio Montano e il Vescovo di Bologna, e tra l'altro è anche caduto e si è fatto male alquanto: purtroppo non ci vede quasi più.
Dal viaggio, si evince dal documentario, emerge un'esigenza: la necessità ineludibile di coltivare la memoria perché ciò che è accaduto non possa ripetersi: "La canzone "Auschwitz"
 purtroppo dobbiamo cantarla ancora".
Mi piace, al termine della Giornata della Memoria, ripubblicarne qui il testo. 

Auschwitz 

Son morto ch’ero bambino
son morto con altri cento
passato per il camino
e adesso sono nel vento.

Ad Auschwitz c’era la neve
il fumo saliva lento
nel freddo giorno d’inverno
e adesso sono nel vento.

Ad Auschwitz tante persone
ma un solo grande silenzio
che strano non ho imparato
a sorridere qui nel vento.

Io chiedo come può l’uomo
uccidere un suo fratello
eppure siamo a milioni
in polvere qui nel vento.

Ancora tuona il cannone
ancora non è contenta
di sangue la bestia umana
e ancora ci porta il vento.

Io chiedo quando sarà
che l’uomo potrà imparare
a vivere senza ammazzare
e il vento si poserà.

mercoledì 25 gennaio 2017

Nucleare: "Saluggia non idonea", tutto via (ma chissà quando)


Dopo la disamina amara pubblicata da La Stampa nelle scorse settimane, stamattina sempre sul quotidiano torinese, pagine di Vercelli, è comparso questo articolo di Giuseppe Orrù che sembra segnare una nuova strada verso la chiusura e poi lo smantellamento del sito di stoccaggio nucleare di Saluggia, seppure in tempi biblici: qui si parla di dopo il 2032. Ad annunciarlo è lo stesso direttore dello stabilimento Sogin, che ipotizza il trasferimento in un deposito unico, peraltro ancora da individuare e costruire (particolare non trascurabile). 
Speriamo. Almeno per i nostri pronipoti, perché per i nipoti mi sembra dura. 


SALUGGIA
Lo smantellamento del nucleare in Italia apre una nuova sfida a Saluggia con un impianto unico nel suo genere, «un prototipo», per dirla con Michele Gili, direttore dello stabilimento Sogin: il Cemex. Dopo la realizzazione delle fondamenta con le celle sotterranee, ieri è iniziata la gettata del solaio al piano campagna, su cui sorgerà un edificio alto 18 metri che trasformerà i rifiuti liquidi radioattivi in rifiuti solidi. Un passaggio fondamentale prima del loro trasferimento al Deposito nazionale unico. 

Per terminare la costruzione e i collaudi del Cemex servirà un paio d’anni. L’impianto sorgerà vicino al nuovo parco serbatoi dei rifiuti liquidi, da dove una breve condotta li trasferirà al Cemex per il trattamento. Il meccanismo sarà simile a quello di una betoniera: i liquidi radioattivi saranno mischiati col cemento in un contenitore con girante interno. Come il calcestruzzo, si solidificherà e finirà in bidoni simili a quelli petroliferi per essere stoccati nel vicino deposito temporaneo D3 in attesa del trasferimento al Deposito unico. Per l’individuazione del sito si aspetta che i vari ministeri autorizzino Sogin a pubblicare la carta delle aree potenzialmente idonee a ospitare il Deposito. Tra cui sicuramente non ci sarà Saluggia vista la vicinanza di corsi d’acqua.  

L’impianto Cemex, che si estenderà su una superficie di 2.500 metri quadri, permetterà di cementare e condizionare i circa 260 metri cubi di rifiuti radioattivi liquidi di Saluggia. Per completare la cementificazione serviranno tre anni di lavoro dell’impianto, da cui usciranno 900 fusti ad alta attività per circa 600 metri cubi di volume, destinati al D3, che misura 9 mila metri cubi.  

 La sproporzione tra contenuto e contenitore è dovuta alle necessità di ispezionare i fusti in qualsiasi momento e quindi di lasciare dei passaggi. Per ogni metro cubo di rifiuti liquidi sarà utilizzato un metro cubo di cemento. «I programmi attuali - dice Gili - prevedono il raggiungimento della fase di brown field fra 2028 e 2032, un intervallo che risponde all’alea legata alla natura prototipale di molte operazioni». Vale a dire che le attività del sito saranno terminate e a Saluggia resteranno solo i rifiuti condizionati e stoccati, pronti al trasferimento. 

«Raggiunta questa fase i rifiuti radioattivi, già condizionati e stoccati nei depositi temporanei - dice Gili -, sono pronti per essere trasferiti al Deposito nazionale; a Saluggia ci sarà solo un’attività logistica. Con la disponibilità del Deposito nazionale i rifiuti radioattivi saranno allontanati e il sito raggiungerà lo stato di green field, una condizione priva di vincoli di natura radiologica che ne consentirà il riutilizzo». Significa che tutti gli impianti realizzati, compreso il Cemex, saranno già stati abbattuti. 

domenica 15 gennaio 2017

I no impossibili dei genitori ai loro ragazzi...

L'ultimo ammazzamento di genitori, in Veneto, ha lasciato sgomenta la società italiana. Com'è possibile tanta indifferenza da parte di un figlio sedicenne, che si vuole vendicare perché il padre lo ha sgridato dei pessimi risultati scolastici? Di mezzo c'è la droga anche, e i soldi facili, e la drammatica percezione della vita e della morte come videogioco.
Sono temi che ogni genitore si sarà posto una volta in più in questi giorni.  Su suggerimento di Nicoletta Ravarino, affido alla vostra lettura queste sacrosante riflessioni dell'ottimo giornalista Antonio Polito. 

Dal blog  al femminile di "La ventisettesima ora" sul sito del Corriere della Sera, scritto da Antonio Polito. 
Forse dovremmo rassegnarci al fatto che non abbiamo un diritto all’amore dei nostri figli. Da quando si aggrappano a noi per tirarsi in piedi facendoci sentire onnipotenti, a quando noi ci aggrappiamo a loro per frenarne il delirio di onnipotenza, passa tanto tempo. Ci sembrano sempre nati ieri; ma sedici, diciotto anni sono abbastanza per fare del nostro bambino un individuo dotato di libero arbitrio, di conseguenza diverso da noi. Talvolta estraneo. O addirittura nemico. Riccardo e Manuel, i due complici del parricidio e matricidio di Pontelangorino di Codigoro, sono una storia a sé. Il loro è un comportamento deviante, materia per giudici e psichiatri. Ma anche quei due adolescenti in fin dei conti sono millennials, come chiamiamo con enfasi anglofona i ragazzi di oggi.

E lo sappiamo, ce lo raccontiamo ogni giorno, che tra la generazione Y (ormai quasi Z) e quella dei genitori è aperto oggi un conflitto molto aspro. Ce l’hanno con noi. Sostanzialmente perché stiamo lasciando loro meno benessere di quello che abbiamo trovato. Insieme con il trasferimento del reddito, si è però interrotto il canale di trasmissione di molti altri beni dai padri ai figli. Di valori, per esempio; di conoscenza storica, di credi religiosi, di senso comune, perfino di lingua (si diffonde un italiano sempre più maccheronico). Si è aperto un vuoto di tradizione, insomma; parola la cui etimologia viene per l’appunto dal latino «tradere», trasmettere.

I ragazzi vivono così in un mondo in cui le cose che contano sono diverse da quelle che contano per i genitori. Ma il guaio è che è il loro mondo a essere quello ufficiale e riconosciuto, vezzeggiato e corteggiato, perché sono loro i nuovi consumatori. Al centro di questo mondo c’è una cultura del narcisismo, per usare l’espressione resa celebre da Christopher Lasch. Lo spirito del tempo ripete come un mantra slogan da tv del pomeriggio: «sii te stesso», «realizza tutti i tuoi sogni», «non farti condizionare da niente e nessuno», «puoi avere tutto, se solo lo vuoi». Più di un’educazione sentimentale è un’educazione al sentimentalismo. Al culto del sé, del successo facile, e del corpo come via al successo, sul modello dei calciatori e delle stelline. I genitori, anche i migliori, sono rimasti soli. È finito il tempo in cui «i metodi educativi in famiglia non venivano smentiti o condannati dal contesto», protesta Massimo Ammaniti ne "Il mestiere più difficile del mondo", il libro scritto con Paolo Conti e pubblicato dal Corriere. Oggi invece la smentita è continua.

Nessun rifiuto, nessun limite, nessun «no» che venga detto in famiglia trova una sua legittimazione nel mondo di fuori. Il fallimento educativo che ne consegue è una delle cause, non una conseguenza, della crisi italiana. Ne è una prova il fatto che a parlare del disagio giovanile oggi siano chiamati solo gli psicologi e gli psicanalisti, e non gli educatori: come se il problema fosse nella psiche dell’individuo e non nella cultura della nostra società, come se la risposta andasse cercata in Freud e non in Maria Montessori o in don Bosco. È dunque perfino ovvio che l’epicentro di questo terremoto sia la scuola. E che il conflitto più aspro con i nostri figli avvenga sul loro rendimento scolastico. A parte una minoranza di dotati e di appassionati, per la maggioranza dei nostri figli lo studio è inevitabilmente sacrificio, disciplina, impegno, costanza. Tutte cose che non c’entrano niente con il narcisismo del tempo.

Chiunque abbia figli sa quanto sia dolorosa questa tensione. I ragazzi fanno cose inaudite pur di sottrarsi. L’aneddotica è infinita. C’è la giovane che riesce a ingannare i genitori per anni, fingendo di fare esami che non ha mai fatto ed esibendo libretti universitari contraffatti. C’è il ragazzone che scoppia a piangere come un bambino ogni volta che il padre accenna al tema dello studio. C’è quello che dà in escandescenze. Quello che mette il cartello «keep out» sulla porta della cameretta. Quello che non toglie le cuffie dell’iPod. Padri e madri non sanno che fare: fidarsi dei figli e del loro senso di responsabilità, rischiando di esserne traditi? O trasformarsi in occhiuti sorveglianti, rischiando di esserne odiati? Lo spaesamento è testimoniato dall’espressione che usiamo correntemente nelle nostre conversazioni: «Ciao, che fai?». «Sto facendo fare i compiti a mio figlio». «Far fare», un unicum della lingua italiana, una costruzione verbale che si applica solo alla lotta quotidiana con gli studi dei figli. Bisognerebbe invece fare qualcosa.
Ci vorrebbe una santa alleanza tra genitori, insegnanti, media, intellettuali, idoli rock, stelle dello sport, per riprendere come emergenza nazionale il tema dell’educazione, e sottoporre a una critica di massa la cultura del narcisismo. Ma i miei figli cantano, insieme con Fedez: «E ancora un’altra estate arriverà/ e compreremo un altro esame all’università/ e poi un tuffo nel mare / nazional popolare/ La voglia di cantare non ci passerà».
13 gennaio 2017 (modifica il 13 gennaio 2017 | 23:43)



mercoledì 11 gennaio 2017

Il deposito nucleare di Saluggia, i pericoli, i soldi


Noi che abbiamo avuto in sorte di viverci  a due passi, la storia del Deposito Nucleare di Saluggia la conosciamo. Ma la conosciamo davvero? In verità, quasi tutti sappiamo solo che non ci fa felici, e che l'individuazione di un sito nazionale augurabilmente lontano da qui sta andando terribilmente per le lunghe e probabilmente non si farà mai. 
Ieri La Stampa ha raccontato l'intera storia, tipicamente italiana,  in prima pagina. 
Qui di seguito, per chi avesse voglia e tempo di approfondire una volta per tutte. 
(bisognerebbe davvero farlo)





SALUGGIA
«Là sotto», lo chiamano i piemontesi della zona. Un avvallamento lungo la Dora Baltea, affluente del Po. Qui, a trenta metri dal fiume, dietro recinti, filo spinato, terrapieni e muri anti-alluvione, sta il comprensorio nucleare di Saluggia, piccolo Comune in provincia di Vercelli. Se sull’energia atomica si incontrano posizioni diverse anche fra gli addetti ai lavori, Saluggia ha il merito di mettere d’accordo tutti. 

È infatti unanimemente considerato il sito più inadatto in cui stoccare dei rifiuti radioattivi. Perché i depositi di scorie, al contrario delle centrali nucleari, devono stare lontani dall’acqua. E qui invece stiamo al centro di un triangolo, tracciato dalla Dora Baltea e due canali. Sotto passano le falde acquifere che alimentano l’acquedotto del Monferrato.  
«Anni fa abbiamo avuto il primo caso nel Paese di contaminazione di una falda superficiale», commenta Gian Piero Godio, storico attivista di Legambiente Vercelli, mentre percorriamo il perimetro del sito. E proprio qui, mentre l’Italia si avvita da anni su come, dove e quando fare un deposito nazionale in cui mettere al sicuro tutti i rifiuti radioattivi, sorge il deposito nazionale de facto. Qui - con il contributo minoritario di Trino, sempre nel Vercellese - stanno il 73 per cento dei rifiuti nucleari italiani, se si misura la radioattività; e il 96 per cento, includendo altri materiali radioattivi (fonte inventario Ispra 2014). E ancora qui, nell’impianto Eurex, stanno 260 metri cubi di rifiuti liquidi, ovvero nella loro forma più pericolosa, che attendono di essere solidificati da molti anni.  

Sul sito è in costruzione un complesso, Cemex, che dovrà cementarli. «Nel giugno 2016 è stato fatto il getto della platea di fondazione, ora è in corso la costruzione delle pareti», commenta Marco Sabatini Scalmati, responsabile relazioni media di Sogin, la società pubblica incaricata della disattivazione degli impianti nucleari, che gestisce questo e altri siti. I lavori dovrebbero concludersi, sulla carta, nel giugno 2019. Nel mentre, lì dentro si sta ingrandendo un deposito di cemento, il D2, e se ne sta costruendo un altro, il D3. Per Sogin consentiranno di stoccare in maggior sicurezza i rifiuti in vista del loro trasferimento in un deposito nazionale. Per gli ambientalisti però il timore è che servano a rendere definitivo quello che è temporaneo. «Ha senso farli se tra pochi anni i rifiuti verranno trasferiti? Oppure il loro destino è di essere definitivi?», si chiede Godio.  
Era il 1999 quando per la prima volta in modo ufficiale si iniziò a parlare di un deposito nazionale dove mettere al sicuro le scorie della breve stagione nucleare italiana. Addirittura, una legge del 2003, dopo averlo definito «indifferibile e urgente», lo voleva entro soli cinque anni. Più sagge stime lo avrebbero collocato nel 2020, salvo poi far slittare progressivamente le date - insieme ai costi generali dello smantellamento del nucleare - in un tunnel di cui ad oggi non si vede la fine. Così, nel 2017, la realizzazione di un deposito unico, di cui si parla da almeno 17 anni, resta poco più di un miraggio. E dire che nell’estate 2015 si era intravisto il traguardo, quando doveva essere pubblicata dal governo la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee per ospitarlo.  

Una lista di località, redatta in gran segreto, che non è mai uscita dal cassetto e la cui pubblicazione servirebbe a iniziare le complesse trattative per arrivare infine a definire il posto più adatto. E da lì iniziare a costruire il deposito. La Sogin, i cui vertici sono stata rinnovati lo scorso luglio dopo anni di travagli interni, ci aveva fatto pure una campagna informativa nel 2015, con 4,1 milioni di euro spesi in comunicazione.Ma la pubblicazione della fantomatica carta non c’è stata, così come non è stato ancora realizzato il Programma nazionale italiano per la gestione dei rifiuti nucleari. Ovvero un documento, previsto da una direttiva europea, con cui ogni Stato è tenuto delineare la propria strategia al riguardo. Lo scorso febbraio l’Italia ha presentato solo un rapporto preliminare.  
Guerra di dossier  
«Il Programma nazionale deve essere sottoposto a una Valutazione Ambientale Strategica, che a sua volta si fa sulla base di un rapporto ambientale. L’Italia ha prodotto un documento preliminare di questo rapporto ambientale propedeutico», commenta Roberto Mezzanotte, già direttore del dipartimento nucleare di Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.  

«Dunque siamo due passi indietro rispetto all’obiettivo, che è il Programma nazionale. Per altro quel rapporto preliminare ha molte lacune». Così, ad aprile l’Europa ha iniziato una procedura d’infrazione contro l’Italia per la mancata consegna di tale programma. E a settembre il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, in un’audizione, ha infine fatto sapere che la Carta dovrebbe essere pubblicata a fine 2017, legandola a sua volta al Programma nazionale. Per qualcuno sarebbe già un successo, a questo punto, se il deposito, prima vagheggiato nel 2020, poi slittato verso il 2024-25, fosse pronto intorno al 2030. Ma parallelamente a questo tema, si aggiunge la questione dello smantellamento (decommissioning) degli attuali siti temporanei, che ospitano rifiuti e altri materiali radioattivi. Smantellamento che non avverrà prima del 2035, stando allo stesso rapporto preliminare del governo. «Nel luglio 2016, l’avanzamento del decommissioning era attorno al 25 per cento», commenta Sabatini Scalmati. Nel 2012 era al 12 per cento. Intanto, l’allungamento dei tempi fa aumentare quanto paghiamo, «perché ci sono spese fisse indipendenti dal procedere delle operazioni di decommissioning», spiega Mezzanotte. Mentre tra il 2006 e il 2011 i costi per la messa in sicurezza e lo smantellamento sono aumentati del 42 per cento, attestandosi su una stima di 6,7 miliardi. Poi ci sarebbe la partita dei rifiuti che devono rientrare dall’estero, termine ultimo il 2025. Se, come è ormai probabile, per quella data non ci sarà il deposito, dove andranno?  
«Se il deposito fosse quasi pronto forse si potrebbe ricontrattare con la Francia. Se invece non lo fosse, sarebbe uno dei problemi», commenta Lamberto Matteocci, responsabile controllo delle attività nucleari dell’Ispra. «Bella domanda, non esiste un piano B», aggiunge Mezzanotte. «Ma si potrebbe ipotizzare che ogni sito sia costretto a riprendere i propri rifiuti, o che venga fatto un deposito temporaneo solo per quelli». Esattamente quello che temono gli ambientalisti di Saluggia: non è che quei nuovi grandi depositi in cemento, più che essere solo migliorativi, serviranno anche a questo? Senza contare che ancora manca un’autorità di vigilanza sulla sicurezza. «Non abbiamo un arbitro, un ente indipendente», lamenta Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace.  

Doveva essere l’Isin, l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, costituito nel 2014 e non ancora operativo. Il suo ruolo continua ad essere assolto provvisoriamente dall’Ispra. Che però negli ultimi anni è stata depotenziata. «Abbiamo avuto una progressiva riduzione delle risorse. L’Isin prevederebbe circa 60 persone, ora all’Ispra siamo la metà», precisa Matteocci. Nel mentre, la storia del deposito appare sempre di più quella di un cerino passato di mano in mano. Dove perfino i Comuni che ospitano i siti temporanei sembrano aver accettato il dato di fatto. Che si traduce pur sempre in 15 milioni di euro all’anno in compensazioni statali.  

Anzi, nel luglio 2016 quei Comuni hanno perfino vinto una causa in primo grado contro il governo. L’accusa è che lo Stato trattenga il 70 per cento dei soldi destinati ai territori sedi di servitù nucleari. «Le compensazioni sono diventate ormai delle entrate strutturali dei bilanci di quei Comuni, se sparissero domani avrebbero dei problemi», commenta Umberto Lorini, direttore della Gazzetta di Vercelli. Una iniezione di liquidità cui è difficile rinunciare in tempi di ristrettezze anche per gli enti locali. 

domenica 8 gennaio 2017

Un monumentino alla nuova Cartolaia

Un monumentino azzurro ad Alessia Grotto, 22 anni, che ha appena preso in gestione - per passione - la cartoleria sotto i portici di via Mazzini. Alessia viene da Fontanetto e vede il nostro Paesello per quel che è, un posto con opportunità. 
Non così la maggior parte dei miei amati concittadini. Stamattina, sabato del ponte della Befana, passavo in bici in via Mazzini e contemplavo la desolazione dietro i poveri tappeti rossi di Natale. Colori scrostati, facciate fatiscenti. Serrande abbassate, per lo più. Abbassate da tempo oppure per vacanza. Ieri, oggi, domani, dopodomani. Evvai. 
Ma anche qualche vetrina aperta e lavorante, e con gente dentro tra l'altro. Un'altra medaglietta va alla ditta Raviola, e la parrucchiera che ha riaperto il Barin è una macchina da guerra. Altre, poche, poche, ma tutta gente che ci crede e lavora.
Mi è venuto in mente che già nel '95, nel mio primo mandato, si parlava di crisi del commercio fra grandi borbottii. E con la Regione ci inventammo il Centro Commerciale Naturale, e promuovemmo corsi di marketing per preparare le persone. Arrivarono a frequentarli in 7, e poi anche meno.
Crescentino è così, protesta, si lamenta, chiude e sta a casa. Non vuole imparare, sta bene così dunque.
Una signora mi ha fermata per chiedermi dove trovare una pasticceria. Bella domanda no? Le ho detto: Vada a Brusasco.
Sono soddisfazioni, in un paese con il più brutto Centro Storico del mondo (ma i negozi aperti lavorano, eh, anche nel brutto). 


giovedì 5 gennaio 2017

Profughi e rivolta di Cona, che cosa dice il Presidente dell'Anci

Come dice Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera del 4 gennaio, dopo la rivolta dei migranti alloggiati a Cona seguita alla morte di una povera ragazza del gruppo: "Certo che si sono messi dalla parte del torto... hanno scatenato disordini e cinto d'assedio un gruppo di operatori. Punto. Difficile tenere i nervi saldi, però, a vivere così, in tendoni malamente riscaldati, col gelo... ammucchiati l'uno sull'altro come bestie. In 1340 dove dovrebbero stare al massimo in duecento...". La polemica è anche contro le cooperative che li gestiscono, e ci guadagnano. Ma sullo stesso Corriere della Sera del 4 gennaio, parla il presidente Anci Antonio Decaro, sindaco di Bari, che ha un piano. 
 Leggete, se volete, quello che dice.

«Non si verificheranno più rivolte, come è accaduto a Cona, se i Comuni aderiranno all'accordo che l'Anci ha firmato con il Viminale. È inconcepibile che in un paese di tremila abitanti, siano sistemati tutti assieme 1.400 migranti, di etnie diverse, abitudini diverse. Questa non è accoglienza, è evidente che vanno in crisi i servizi, di trasporto, sociali, sanitari». Il sindaco di Bari, Antonio Decaro, che è anche presidente dell'Anci, l'associazione comuni italiani, crede molto nell'accordo Sprar (Sistema protezione per richiedenti asilo e rifugiati), e si dice convinto che pian piano la maggior parte del Comuni dirà di sì.
Sindaco, come funzionerà? 
«Ogni Comune, su base volontaria, se aderisce, non potrà essere obbligato ad accogliere un numero superiore a 2,5 rifugiati per mille abitanti. A Cona ce ne sarebbero stati solo 8, per esempio».
Quanto riceveranno, in contributi, i Comuni che aderiranno? 
«Sono 35 euro al giorno per migrante. Ma il punto è che i prefetti non potranno prendere una caserma, per fare un esempio, e metterci dentro migliaia di persone. I prefetti, e i sindaci, sceglieranno strutture ricettive, appartamenti, piccoli alloggi. Questa è la clausola di salvaguardia dell'accordo».
Ma se è su base volontaria, molti Comuni potranno continuare a rifiutare i migranti, come già accade oggi: su 8.000 Comuni italiani, solo 2.800 li accolgono. 
«Io credo invece che, con adeguate campagne di sensibilizzazione, che stiamo già predisponendo, tutti capiranno di poter fare la propria parte senza creare problemi alla popolazione, riducendo l'impatto sul territorio e realizzando una vera integrazione. Niente più cooperative sociali, come a Cona, staccate dal contesto. Ma ci vorranno almeno due anni». 




Aiutiamoci tutti, contro il terrorismo

Mentre il mondo esplodeva fra i mercatini di Natale a Berlino e la discoteca alla moda di Istanbul nella notte di Capodanno, sono passata con mio marito sotto i portici di via Mazzini. Eravamo diretti verso il passaggio a livello. 
Io non è che racconto tutte le cose di Crescentino a Mimmo, ma dopo che ha visto due ragazzi abbronzati come direbbe Berlusca in Piazza Mazzini, uno fermo dentro la tabaccheria in un angolo, e altri due sotto i portici oltre l'Archigusto, mi ha chiesto: ma chi è che si occupa di questi ragazzi?
Gli ho spiegato un po' la situazione. E lui: "Certo che se qui non c'è un movimento inclusivo, qualcuno o un gruppo o un ente che si prendano non materialmente ma psicologicamente il carico di coinvolgerli e di farli sentire parte della comunità, se si sentiranno soli  e rifiutati, matureranno sentimenti di ostilità verso la nostra comunità, la nostra Nazione, e qualcuno si aggiungerà magari alla lista di quelli che si fanno esplodere nei mercatini".
E' un ragionamento da non trascurare. E' vero.
Qui non si vuole spaventare nessuno, ma dal sindaco alla Croce Rossa in poi, chi lavora per la popolazione e nella Comunità si deve fare qualche domanda, e trattare questi ragazzi da esseri umani. 
La posta in gioco è alta. Per noi stessi, e per tutti gli esseri umani che ancora si considerano tali.