lunedì 27 febbraio 2017

Il dietro-front comunale sui migranti (e che brava la asd Crescentinese)

Ci sono accadimenti che strisciano leggeri nella loro pesantezza. Vale la pena registrarli.
La pesante campagna dell'Amministrazione Greppi contro i migranti, fin dai primi arrivi, le gesta di Speranza da uomo-sandwich, il muso duro contro un fenomeno che fra cento anni i libri di storia catalogheranno come un passaggio epocale della cosiddetta civiltà occidentale, tutto questo piano piano si è sciolto come neve al sole, per far posto da parte dell'Istituzione locale ad un atteggiamento collaborativo con la Prefettura e le cooperative che gestiscono i profughi.
Cos'è successo? 
Dapprima fu - mesi fa - la squadra di calcio asd Crescentinese, che trovatasi davanti questi ragazzi mentre giocavano a pallone non avendo altro di più utile da fare, ha finito per dar loro una mano incaricandoli di piccoli lavoretti di manutenzione, e inglobandoli insomma in un progetto minimo ma spontaneo, che ha dato i suoi inaspettati frutti umani. 
Già. Meno proclami, più esseri umani. Con semplicità.
Forse, senza la semplicità degli uomini della Crescentinese, non si sarebbe risvegliato nemmeno il buon senso in Piazza Caretto. Adesso dialogano, avviano un progetto di pubblica utilità: dopo aver contemplato i Comuni intorno più piccoli ma più svegli che da mesi hanno avviato progetti utili anche alla comunità, si rassegnano ad assegnare alcuni di questi ospiti non così tanto graditi ai lavori socialmente utili. Pulizia della Città, piccoli lavori di manutenzione.
Meglio di niente, per l'Amministrazione che voleva fare il pugno duro. 





giovedì 23 febbraio 2017

Un pazzo, un sant'uomo o un traditore? Emiliano si lancia


In questi giorni di travagli e di fughe illustri dal PD, il Governatore della Puglia Emiliano ha invece deciso di rimanere e di candidarsi alla segreteria, contro Renzi. Una decisione non molto popolare, in verità: c'è chi gli ha dato del pazzo, chi lo ha definito Don Chisciotte, i più hanno preferito metterlo nella categoria dei traditori. 
Stasera, ospite a La7 della Gabbia, ha raccontato il suo pensiero. 
Riferisce l'Ansa:
"Renzi sperava di essersi liberato della sinistra, ma si è sbagliato, sono ancora qui". Ha definito Renzi "arrogante, scalatore sociale", al quale "piacevano gli aerei di stato".
"Vado al Congresso a mani nude contro una corazzata: dall'altra parte ci sono i soldi, organizzazione e quant'altro". Per questo si è augurato che alla segreteria "si candidi anche Orlando", in modo da rendere "meno impari" la battaglia a fronte di un Renzi "molto determinato".
E ancora: "Ho sofferto perché avrei voluto che Enrico Rossi (governatore della Toscana, NDR) e Roberto Speranza si candidassero all'interno del PD, ma ho capito che sono andati via con delle giustificazioni data l'arroganza con cui i dirigenti del partito li hanno trattati. Spero, se divento segretario, di riportarli a casa loro nel PD".
La vedo durissima, su tutti i fronti. 

mercoledì 15 febbraio 2017

PD, la scissione è dietro l'angolo


Solo un attacco di senso di responsabilità nei confronti del Paese che soffre (e investe la metà rispetto alla Bulgaria in ricerca scientifica), potrebbe salvare quel che resta del PD dopo anni rancorosi. Scorre sangue amaro fra il "ducetto" Renzi e la vecchia sinistra di Bersani e di tutti i cespugli cresciuti all'ombra di questa gigantesca foresta del malcontento, senza mai un chiarimento durante il mandato del Segretario. Forse era inevitabile che finisse così. 
Qui l'inviata del Corriere della Sera ci racconta la rava e la fava (ma il finale è tutto da scrivere, ancora)

Monica Guerzoni per il “Corriere della Sera”


Al terzo giro del Transatlantico di Montecitorio, un Pier Luigi Bersani gonfio di parole e di angoscia per il rischio di una spaccatura insanabile lancia un ultimo appello «a chi è vicino a Renzi». Ad Andrea Orlando, a Dario Franceschini, a tutti i capicorrente: «Io da lui non mi aspetto più nulla, ma chi ha buon senso ce lo metta. Siamo a un bivio molto serio e la sua linea ci sta disintegrando. La scissione? C' è già stata, abbiamo perso per strada un sacco di gente e io mi chiedo come possiamo recuperarla...In direzione ho visto solo dita negli occhi».

Mollerete gli ormeggi? «Io voglio bene al Pd, ma se diventa il "Pdr" non gli voglio più bene». Le tensioni No al Partito di Renzi, no a un congresso «cotto e mangiato» prima della legge elettorale e delle Amministrative, no ai capilista bloccati («ma diamo i numeri?»), no al voto anticipato: «Ci vuole un chiarimento sul sostegno a Gentiloni. Non puoi lasciare un Paese nel frullatore. Qui c' è un elemento di irresponsabilità».

Per Bersani «il collettivo non può essere un gregge» e se Franceschini, Orlando, Delrio e gli altri non batteranno un colpo prima dell' assemblea di domenica, lo strappo sarà inevitabile. Bersani non si sente più a casa, è pronto davvero a sbattere la porta e aveva persino pensato di disertare l' appuntamento chiave: «Se andrò all' assemblea? No lo so, vediamo se arriva qualche riflessione». Mezz' ora dopo, sempre Bersani: «Ci andrò sicuramente. Non manco mai agli appuntamenti del partito».

IL DOCUMENTO
Ansia, incertezza, attesa. Riunioni segrete e riunioni smentite. Nessun contatto tra renziani e minoranza. Finché alle sette di sera il Nazareno batte un colpo e fa sapere che 10 sindaci e 3 governatori hanno firmato un documento a sostegno della linea del leader: «Il congresso è l' antidoto naturale al pericolo di scissioni».

Ma i rapporti sono ormai così sfilacciati che Enrico Rossi paventa una scissione ancor prima del congresso: «Il segretario vuole accentuare il carattere renziano del Pd, spostando il partito ancora più a destra».

Nei capannelli nervosi dei deputati tiene banco il sospetto che Renzi sia persino tentato dal favorire la scissione, per farsi un partito tutto suo in grado di trattare con Berlusconi e intercettare il suo elettorato. Bersani è incredulo: «È così masochista?». Ma un dirigente vicino a Renzi conferma la suggestione: «Noi la scissione non la cerchiamo. Però se Speranza e Bersani vogliono andarsene, vadano. L'importante è che finisca il logoramento quotidiano».

LE DIVERSE STRATEGIE 
Al Nazareno si sono convinti che Cuperlo, Rossi e Orlando non usciranno e che il rischio riguardi i soli bersaniani. Rischio relativo, agli occhi di Renzi e compagni, che non si mostrano troppo spaventati all' idea di perdere l' ala sinistra: «Tanto Orfini, Martina, Finocchiaro, De Luca, Bonaccini e tanti altri ex ds di peso stanno con noi».

Chi è dato ormai per perso, senza rimpianti da parte dei renziani, è Massimo D' Alema. Per il leader del fronte del No, convinto che la direzione sia stata gestita in modo irresponsabile, il lungo viaggio che porta fuori dal Pd è iniziato: l' ex premier nelle prossime settimane è atteso a Lecce, Benevento, Genova, Savona, Bergamo, Brescia...
Franceschini lavora per convincere il segretario a diluire i tempi del congresso. Martina offre a Renzi la sua mediazione per «scongiurare la scissione».

Cuperlo spera in un sussulto di responsabilità che porti a una ricucitura: «Rompere sarebbe una sciagura». Anche Orlando prova a sventare lo strappo della sinistra. Invoca una «moratoria degli attacchi», sprona Renzi a non «smarrire la strada» e insiste nel proporre una conferenza programmatica: «Bisogna mettere al bando la parola scissione».

martedì 14 febbraio 2017

Renzi si dimetterà sabato. Il dibattito in Direzione del PD

Non da oggi questo blog segue le vicende del PD, che il 13 febbraio con la Direzione ha iniziato la resa dei conti. Renzi avrebbe dovuto dimettersi ma non lo ha fatto, pare che accadrà  a fine settimana durante l'Assemblea Nazionale. Ho scovato questo stringato ma completo riassunto della giornata di oggi su La Repubblica online. Vi avverto, è lunghissimo: ma per capirci qualcosa almeno questo bisogna leggerlo, dai.


Piero Matteucci e Monica Rubino per la Repubblica
"Si chiude un ciclo alla guida del Pd". Così Matteo Renzi, alla direzione convocata in via Alibert a Roma, lascia capire che si dimetterà per anticipare il congresso del partito. Che si terrà con le "stesse regole dell'ultima volta", ossia nel 2013, quando Gianni Cuperlo sfidò l'ex premier e l'assise si concluse in due mesi e mezzo.

IL RITORNO DEI CAMINETTI
"Dopo il 4 dicembre le lancette della politica sono tornate indietro, quasi ai tempi della Prima Repubblica: sono tornati i caminetti, ci si perde nei litigi e non si fanno proposte", esordisce Matteo Renzi (maglioncino alla Marchionne, alla sua destra il premier Paolo Gentiloni) dopo aver intonato l'inno nazionale assieme all'assemblea. Poi, rivolto alla minoranza interna, afferma: "Basta amici e compagni, diamoci una regolata tutti insieme. Non è possibile che tutto venga messo in discussione".

La sconfitta del 4 dicembre
A chi lo accusa di non aver discusso a sufficienza la disfatta referendaria risponde: "L'analisi del voto l'abbiamo fatta: io ho pagato il pegno, mi sono dimesso. Se l'errore principale della campagna elettorale è stata la personalizzazione, ho cercato di evitare la personalizzazione almeno nel post referendum". E poi aggiunge: "Da due mesi la politica italiana è bloccata. Improvvisamente è scomparso il futuro da ogni narrazione. L'Italia si è rannicchiata nella quotidianità".

No al ricatto sul calendario 
Dopo un'ampia panoramica sui principali fatti accaduti nel mondo (dalla Cina cha apre al libero mercato agli Usa di Trump che si chiudono nel protezionismo fino alle regole dell'Europa da cambiare non da violare), Renzi arriva al punto e rivolto alle opposizioni dem chiarisce: "Si dice o fai il congresso prima delle elezioni o me ne vado. Mi sembra un ricatto morale e sono difficilmente incline a cedere ai ricatti. Fare il congresso come alternativa al renzismo? Troppo onore, il congresso si deve fare come alternativa al trumpismo, al lepenismo, al massimo al grilliamo".
E poi aggiunge: "Non voglio nessuna scissione: se deve essere, sia una scissione sulle idee, senza alibi, e non sul calendario. Agli amici e compagni della minoranza voglio dire: mi dispiace se costituisco il vostro incubo, ma voi non sarete mai il nostro avversario, i nostri avversari sono fuori da questa stanza. Non possiamo più prendere in giro la nostra gente".

Congresso come l'ultima volta
Quindi, tornando sul congresso, conclude, senza annunciare apertamente le sue dimissioni ma facendole sottintendere: "Facciamo il congresso, non sarò il custode dei caminetti. Usiamo le regole dell'ultima volta (quelle del congresso in cui si sfidò con Gianni Cuperlo) ma torniamo alla politica". E riepiloga i suoi successi: "Ho preso un partito al 25% e l'ho portato al 40,8%. Ho dato una casa europea al Pd, inserendolo nel Pse. Ma ora si chiude il ciclo. E chi perde rispetta l'esito del voto. Io non dico andate, dico venite, confrontiamoci, vediamo chi ha più popolo".

LE ELEZIONI 
Per Renzi non c'è urgenza di andare al voto: "Il congresso del Pd non si fa per decidere quando si va alle elezioni politiche: prima o poi si andrà a votare. Il Congresso serve per essere pronti quando ci sarà il voto". Contro l'ipotesi di elezioni anticipate si è schierato anche l'ex premier Romano Prodi: "Si voti al tempo dovuto, nel 2018, con collegi uninominali".

La polemica sulle tasse
Renzi conferma infine stima e lealtà al ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, a dispetto di quel gruppo di una quarantina di deputati renziani che ha firmato qualche giorno fa la mozione anti-tasse. E, trasgredendo la sua promessa di non usare più slide, il segretario dem mostra il grafico della curva del debito pubblico, che è sceso nei mille giorni del suo governo.
Nel suo intervento Renzi ha dunque disegnato la road map del Pd nei prossimi mesi, da condividere con una lettera inviata a tutti gli iscritti che contiene sinteticamente tutti i punti enumerati in direzione.

Le opposizioni interne: Cuperlo
Ma le opposizioni interne non si fidano e continuano ad attaccare. Gianni Cuperlo, primo ad intervenire dopo il segretario, però, sottolinea che l'avversario non è Renzi: "Matteo tu non sarai mai il mio avversario. Gli avversari non sono dentro questa sala, tu non hai avversari qui dentro. L'avversario è fuori ed è la destra. Ma il punto è se la tua politica sia quella giusta per sconfiggere la destra", ha detto, insistendo sulla necessità di una 'svolta radicale' nella linea politica, dopo una 'discussione vera'.
"La domanda che poniamo a tutti noi è se chi ha avuto il compito di guidare questa fase, un 'chi' collettivo con luci e ombre, è ancora in grado di porsi alla testa in questa stagione". Bene, quindi, la decisione di convocare il Congresso, ha detto, ma senza 'resa dei conti': "Chi dice contiamoci e vediamo chi ha i voti, usa solo un pedale della bicicletta, ed è difficile restare in equilibrio". E sulle elezioni "conta il quando, ma più il come. Il come è come evitare il quinto governo di larghe intese. Matteo hai ragione, il congresso non si fa per decidere la data del voto. Si fa per decidere cosa dire agli italiani prima che vadano a votare. In questo c'è il legame con la discussione. E poi serve ad aiutare Paolo e il governo".


La preoccupazione di Bersani
"Io sono preoccupato. Dobbiamo vedere se, a prescindere da quello che abbiamo pensato, che è improponibile, a questo tornante c'è qualcosa che ci tenga assieme". L'ex segretario Pd Pier Luigi Bersani, intervenendo in direzione Pd, ha manifestato i suoi timori: "Noi oggi non possiamo accontentarci di artifici retorici, diverse opinioni, frizzi e lazzi... Dobbiamo prendere delle decisioni, per noi, ma prima di tutto per l'Italia. Perché noi stiamo governando questo Paese".
E ha insistito: "È vero o no che una parte di popolo non ci sopporta? Abbiamo questo problema". Per Bersani è necessario fare qualcosa, non solo parlarne, perché avverte: "noi non accoltelliamo alle spalle, avvertiamo che la destra arriva. Ce l'abbiamo già sotto i piedi se conosciamo l'Italia. Questa è una destra che se non togliamo noi i voucher li toglie lei. È una destra sovranista, protezionista. È un campo di idee che sta entrando anche in casa nostra. Sta sviluppando egemonia. Ecco perché serve un campo largo".

Sul Congresso, Bersani ha sottolineato: "Non è vero che mancano le idee, lo dice chi non ce le ha, ci mancano luoghi per discutere, confrontare e affermare le idee. Se diciamo Congresso stiamo dicendo questo o perdiamo l'ultimo treno. Non facciamo le cose cotte e mangiate, organizziamo anche in preparazione del Congresso luoghi di discussione". L'ex segretario ha ribadito che il Congresso Pd deve iniziare a giugno, altrimenti saranno solo le assise "del solipsismo, dell'autoreferenzialità" e se Matteo Renzi scegliesse di accelerare "si apre un problema molto serio".

Bersani a Renzi
Poi, rivolto a Renzi, ha esortato: "Prima di tutto il Paese. Quindi la prima cosa che dobbiamo dire è quando si vota. Comandiamo noi, possiamo lasciare un punto interrogativo sulle sorti del nostro governo? Non possiamo o mettiamo l'Italia nei guai. Io propongo che diciamo non solo il 2018, ma garantiamo davanti all'Europa, i mercati, gli italiani, la conclusione ordinaria della legislatura". E ha concluso: "Non possiamo parlare come la sibilla, lasciare la spada di Damocle sul governo per cui ci si aspetta che si dimetta in streaming...".

Orfini replica a Bersani
A Bersani ha replicato Matteo Orfini: "Vogliamo ancora provare a costruire l'unità tra di noi? Dopo il 4 dicembre abbiamo discusso sul fare o no un Congresso, abbiamo fatto una valutazione: arrivare a scadenza naturale, abbiamo provato a farlo, ma è aumentata la conflittualità interna, da quando abbiamo deciso di decantare, dopo il 4 dicembre, abbiamo assistito a tutto, tranne alla decantazione". E ha insistito: "Il Congresso è stato minacciato e agitato. Il Congresso dura poco? A me sembra che il problema del nostro partito è che il Congresso non finisca mai".
Orfini ha poi evidenziato che "la precarizzazione della mia generazione nasce con i governi di centrosinistra. Perché abbiamo introdotto la flessibilità, ed era giusto, ma non abbiamo adeguato il welfare. Ed è nata la precarizzazione"
Il presidente della Toscana Rossi
Non nega che ci sia stato impegno, ma i risultati non sono stati adeguati il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi: "Un conto è stato il risultato elettorale alle Europee, altro conto è una sequela di risultati sui territori che non sono stati assolutamente incoraggianti - ha detto nel suo intervento -. Dobbiamo domandarci se la nostra azione di governo è stata adeguata. Io non dico che non c'è stato impegno. Quello che a mio parere è mancato - ha aggiunto - sono alcune scelte fondamentali. E persino una visione di fondo del Paese. E cioè quali forze sociali vogliamo aiutare e quale sistema di alleanze vogliamo perseguire. Su questo non siamo stati adeguati".
Per il governatore è chiaro che "si è esaurita una fase e non si tratta di mettere i discussione nessuno. Non credo di offendere nessuno se dico che c'è stata, anche prima di Matteo, una sinistra troppo accondiscendente al mondo così com'è...Possibile che un partito come il nostro non riesca a trovare un linguaggio per fare capire che il mondo così com'è non è il nostro orizzonte?", ha aggiunto Rossi secondo il quale "Dobbiamo uscire da un riformismo troppo debole, e proporre un cambiamento più robusto della società".
La vicesegretaria Serracchiani
Il Congresso va fatto, ma deve essere un 'Congresso vero', ha detto la vicesegretaria del Partito Democratico, Debora Serracchiani: "Non è una questione di tempistiche, ma di serietà di ciò che andiamo a fare. Abbiamo bisogno di coinvolgere i nostri iscritti, militanti e simpatizzanti cosa pensano di questioni chiave come immigrazione, ius soli, abolizione delle province".
Ma un Congresso che non duri 8 mesi e "Non un congresso che portiamo all'interno di questo governo perché faremmo il male del governo e del Pd - ha spiegato -. Nessuno mette in dubbio la lealtà al governo Gentiloni. Mettiamo in campo il Pd, non i pd, perché ce n'è uno soltanto. Nessuna resa dei conti, ma non voglio sia l'ennesimo pezzo di un Congresso permanente del Pd". Per Serracchiani, uno dei punti di debolezza del Pd è che parla con troppe voci diverse, mentre "la voce della destra è più forte, unica, parla con parole semplice e rappresenta anche le paure della sinistra italiana a cui non stiamo dando risposte".
Il Governatore Emiliano
Il governatore della Puglia  Michele Emiliano, ha ribadito che "quella di candidarmi alla segreteria è una cosa che sento di fare, necessaria": "Io non appartengo a nessuna corrente. Sono un singolo. Ho sostenuto Renzi per il cambiamento, ma in questi 1.000 giorni io molte volte non ho capito dove voleva andare", ha detto. E ha accusato il segretario di essere apparso, a volte, troppo lontano dagli elettori.

La rabbia del vicesegretario Guerini
Un ring insomma, che fa infuriare il vicesegretario Lorenzo Guerini: "Basta logoramento interno" dice e il vicepresidente dem Matteo Ricci incalza al Gr1: "Hanno paura del congresso anticipato perché sanno che gli elettori del Pd stanno dalla parte di Renzi". Il deputato renziano Matteo Richetti si augura "un chiarimento definitivo, che dopo consenta di procedere uniti, sapendo che il Pd e la sua leadership sono un valore per tutti". Mentre il suo collega d'aula e segretario del Pd toscano Dario Parrini si definisce "sconcertato dalla leggerezza di chi agita scissioni" e scrive su Facebook

mercoledì 8 febbraio 2017

Un anniversario da non dimenticare (per me)

Sono nella grande friggitrice sanremese, come negli ultimi 35 anni. Le canzoni mi escono già dagli occhi anche perché sono veramente bruttarelle più del solito.
Manca ancora qualche giorno al 18, ma vorrei celebrare con voi la missiva del Vicesindaco Allegranza di tre anni fa ai giornali locali proprio durante il Festival e la mia assenza dunque: con la quale egli mi diede il benservito come essere umano e come sindaca, millantando di mie assenze dal Comune e quant'altro ("un'egocentrica, presuntuosa e maestra di improvvisazione", leggo su Google, e purtroppo non ho tempo di andare oltre). 
Iniziava così la sua virtuosa campagna elettorale per il successivo maggio, come candidato sindaco. 
Sono bei momenti che è bene non dimenticare, tutte le volte anche che uno si chiede tanti perché nella deriva che poi ha preso il PD, fino ai nostri giorni. Purtroppo trovò anche chi gli diede retta, fino al disastro annunciato.
Sono bei momenti da non dimenticare per chi abbia la tentazione di mettersi in politica: che dovrebbe essere fatta da persone almeno attente al bene comune, e non da schiacciasassi dall'Ego ipertrofico.
Io mi ricordo tutto. Di quelli che credevano al nostro progetto davvero, e di quelli che pensavano al proprio futuro perdendo dei vista il presente, e sottraendosi ai loro doveri con misteriose quanto silenziose assenze.
Sono contenta che tutto questo sia passato. E' stata una lezione inutile, ma una lezione. 
Evviva Crescentino, sempre e comunque. 



mercoledì 1 febbraio 2017

Addio a Domenico e a Romeo, Crescentino è più povera

Due personaggi della nostra piccola comunità ci hanno lasciati ieri, nello stesso giorno: un po' troppo per noi, che ci sentiamo più soli senza Domenico Novo e Romeo Catellani.
Domenico Novo, il papà di Mauro mio collega blogger, era una figura che aveva fatto la nostra piccola storia con i suoi leggendari travestimenti nei carnevali di quando il carnevale aveva un senso e non era soltanto un rito stanco come oggi: quando la tv ancora non era padrona dei nostri pomeriggi e delle nostre serate, quando i social network non si potevano nemmeno immaginare. Era sempre esilarante, sorrideva da un orecchio all'altro, carico di collane e di enormi tette finte; aveva un gusto dello sberleffo che rendeva imperdibile incontrarlo per le strade quando scoccava l'ora delle sfilate dei carri e dei gruppi mascherati. Era, quella, la parte lieta della sua vita: perché poi era un solidissimo lavoratore nell'azienda di famiglia, con la moglie e i suoi due figli. Né si tirava indietro quando c'era da lavorare per la Comunità, accanto ad altri volontari per esempio nel Prajet. Una grande simpatia, una persona speciale. Di quelle che si incontrano sempre meno nella nostra cittadina impoverita nel portafoglio e nello spirito.

Romeo, lo sappiamo tutti, era il re dei gelati all'inizio di via Po. Così buoni ancora adesso non ce n'è, anche per chilometri intorno a noi: l'eredità e il know-how passano alla moglie Marilena e ai figli, persone molto semplici e simpatiche com'era lui, che ha lottato come un leone contro una malattia che lasciava poche speranze. Ha resistito a lungo, però, con una fibra ammirevole.
Di Romeo mi piace ricordare un aneddoto, che mi facevo ri-raccontare da lui, come i bambini, per tornare a ridere. 
Avevamo avuto la stessa professoressa di lettere alle Scuole Medie, Nella Gozzola, un maresciallo che ci teneva tutti in riga: ma lui mi aveva svelato che una volta la prof gli aveva chiesto di leggere ad alta voce il tema che aveva assegnato come compito a casa, e Romeo non lo aveva fatto. Però si era concentrato, mentre altri leggevano la propria "opera", e quand'era stato il suo turno, aveva recitato implacabile il componimento, inventandolo sul momento, senza un attimo di esitazione o di imbarazzo, meritandosi un complimento da parte dell'insegnante.
Ecco mi piace ricordarlo così con quel suo sorriso un po' timido un po' malizioso, che ricorda le malefatte da ragazzino.
Ciao Domenico, ciao Romeo.