mercoledì 27 giugno 2018

La débâcle del PD, e i consigli di Chiamparino

La notizia più significativa dei ballottaggi della scorsa domenica è la quasi-sparizione del PD dall'orizzonte vasto che occupava nelle amministrazioni di città grandi e medie. Cedono quote notevoli regioni di storica tradizione di sinistra, come l'Emilia Romagna e la Toscana. Cade dopo 50 anni la roccaforte di Ivrea. 
Sparire, cambiare nome e facce come suggerisce Calenda, ultimo ministro ad iscriversi al PD?
Il dibattito infuria, e su La Stampa di ieri anche Chiamparino presidente della Regione Piemonte dice la sua, con la consueta franchezza pacata.

di Alessandro Mondo
Un partito isolato, e litigioso, che non riesce a costruire alleanze e si presenta disarmato ai ballottaggi. Un partito in crisi di identità politica, prima che programmatica, contro il quale tutti finiscono per coalizzarsi. 
Sergio Chiamparino - che come presidente della Regione Piemonte tiene una delle ultime ridotte del Pd e del centrosinistra, la stessa che con ogni probabilità gli toccherà difendere alle elezioni regionali del prossimo anno - fotografa la situazione guardandosi dal partecipare al rimpallo delle responsabilità. Lo ha fatto a margine di un incontro a 25 anni dalla prima elezione a sindaco di Valentino Castellani durante il quale non ha risparmiato giudizi puntuti nel suo campo («a sinistra è pieno di delfini che sono finiti come tonni»). Ripetuto il richiamo a riannodare il dialogo con la società, sul modello di quella stagione torinese per tanti versi irripetibile: «C’è una parte della società, che non necessariamente coincide con quelli che definiamo marginali, con la quale non parliamo. La sfida è come misurarsi con questo, come rispondere a questa crisi di rappresentatività». Eccolo, l’insegnamento da trarre dalla sorprendente vittoria di Castellani nel ’93: «Imparare a parlarsi tra diversi», con la differenza che «allora dominava l’antipolitica, mentre oggi l’antipolitica è al governo».  

Come valuta il risultato delle amministrative?  
«Nei ballottaggi c’è la tendenza ad aggregarsi contro il Pd, una forza che in questo momento non ha alleati».  
Una sconfitta prevedibile?  
«È evidente che, stante l’isolamento politico e programmatico del Pd, è più difficile fare alleanze. Naturalmente non è la sola spiegazione». 

A cosa si riferisce?  
«Il fatto che dopo le primarie a Ivrea un pezzo del Pd sia andato altrove, con armi e bagagli, non ha aiutato, per usare un eufemismo». 

Chiamparino prosegue sostenendo che non c'era bisogno dei ballottaggi per segnalare la crisi politica del PD, e sulla simpatica tendenza che anche noi ben conosciamo di ammazzarsi l'uno con l'altro sbotta: 
"La insostenibile tendenza alla litigiosità non migliora la situazione. La prima cosa che mi chiede la gente è: "Smettetela di litigare"


venerdì 22 giugno 2018

I ratti delle fioriere di Piazza Caretto

Leggo sull'imprescindibile blog di Mauro Novo l'accorato sfogo di Daniele Rizzato titolare del Portico. Non voglio naturalmente intervenire sulle sue ragioni, sono certa che abbia regolarizzato la situazione dei tavolini e gli auguro ogni successo nel rispetto della legge e delle ragioni altrui.
Trasalgo invece a una frase: "Le fioriere sono state rimosse perché erano diventate condominio di ratti".
Ratti?
Anche a Roma ci sono i cinghiali che girano per i parchi, (proprio stamattina ne ho visto uno in un giardinetto pubblico nella zona di Oregina, a Genova, davanti al palazzo dove Mimmo viveva da giovane con la sua famiglia).
Sono entrambe città con ampie zone di degrado, che non vengono curate e pulite a sufficienza da tempo.
Ma noi non ci siamo mai trovati in una situazione simile.
Quando sono arrivati i ratti in Piazza Caretto? 
Perché "prima" non c'erano?
E perché arrivano i ratti? 
Quando non si fa sufficiente pulizia, e quando non c'è la  manutenzione adeguata.

Se quel che dice Rizzato è vero, è segno palese di assenza di cure che almeno nella piazza del Municipio - ma anche dovunque - non dovrebbero mancare.  Un malinconico ulteriore segno di degrado nell'ombelico della nostra Cittadina, risolto eliminando le fioriere. Colpire l'effetto, lasciando intatte le cause, non mi sembra una scelta intelligente. 



I tavolini sì, ma il martirio di Piazza Caretto è più ampio

Meno male che c'è Mauro at Large, che raccoglie le confidenze dei cittadini, oltre che offrire loro l'annuncio dei mondi che si aprono intorno a Crescentino. L'ultima confidenza in verità era un po' il segreto di Pulcinella, perché di piazza Caretto estiva un po' troppo ridondante di tavoli tavolini e tavolini si parlava parecchio, fin dall'anno scorso in verità. 

Il salotto della Città

Nelle intenzioni della mia ultima Amministrazione sarebbe dovuta essere il salotto della Città, con i tre dehors che raccoglievano i clienti dei tre locali e le fioriere intorno a fare grazia con le loro piante sboccianti anche d'inverno (Manzoni è un bravo giardiniere).
Com'è diventata l'avete visto e lo vedete ogni giorno.
Non solo, se qualcuno ha riportato il Portico agli spazi concordati con il Comune, lo ha fatto comunque troppo tardi: era ridotta davvero a una taverna all'aperto, senza nemmeno più gli ornamenti doverosi in uno spazio collettivo cruciale: il vicesindaco deve aver pensato a qualche luogo segreto della sua infanzia e lo avrà voluto rifare qui dove passa molto tempo, per sentire un po' d'aria di casa. I suoi compagni di strada l'hanno lasciato fare. Ecco il risultato. Gusti diversi.

Una piazza molto amata:  e intorno?

Ma poi, leggendo i commenti da Mauro, mi ha fatto tenerezza che tutti considerino propria la Piazza, uno spazio molto amato. Ma mi ha colpita che nessuno abbia parlato di quello che c'è intorno, alla piazza storica: il palazzo storico con gli occhioni aperti sul nulla - leggi finestre aperte e spalancate senza vetri né protezione, orrore - giustamente così si risparmia l'Imu, ma il Sindaco nel nome del decoro della città (di cui a parte la piazza sembra non importare un ciufolo a nessuno, e invece il Comune è tenuto a badare, al decoro...) avrebbe potuto e dovuto cercare una soluzione.
Il Condominio Lanza (io ci sono nata, lì) di fronte al Municipio, fa angoscia a guardarlo, e molti visitatori mi rimproveravano di non far nulla per indurre i condomini a una pitturata almeno. E io telefonavo tutte le settimane agli amministratori, il lunedì mi ricordo: uno ebbe avventure tumultuose personali e sparì, l'altro pareva un tipo molto efficiente e quando sono andata via ero convinta che avrebbero cominciato a breve i lavori, invece è ancora lì con il suo squallore. Gli avrà mai telefonato Greppi? 

Si guarda solo in giù

Ma la visione generale dei miei concittadini è monca, si guarda in giù e non in su. Si dovrebbero levare delle voci, i politici che non hanno paura di perdere voti (nessuno cioè) dovrebbero intervenire, convocare gli abitanti come io feci molte volte, prenderli per sfinimento. 
Vedete che quando si protesta qualcosa succede, come dimostra la piazza Caretto che comunque ormai è rovinata nel suo disegno originario.
(poi un giorno mi piacerebbe sapere che fine hanno fatto i finanziamenti Ilvo per il rifacimento degli esterni e interni del palazzo Comunale: ci sono o c'erano, i lavori si sono interrotti con la mia partenza, si doveva anche ridipingere la facciata del Comune, almeno quella sant'Iddio).


domenica 17 giugno 2018

Greppi, i debiti e la necessità dei debiti

Lunghe diatribe e anche un po' accademiche, così giusto per il desiderio (legittimo) di beccarsi. Tra il mio primo vicesindaco (quello al quale l'orchestra Casadei dev'essersi ispirata per la canzone "Simpatia") e il Sindaco pro tempore Greppi non corre  buon sangue. Ma nel susseguirsi delle precisazioni in una polemica che sarà francamente indifferente ai più,  mi imbatto su La Periferia  nell'intervista di turno al mio successore, Fabrizio, e trasalgo alla seguente frase: "Il sindaco di Crescentino non ci sta ad esser ripreso dall'ex vicesindaco della Giunta Venegoni, quell'esecutivo che a suo parere non ha fatto nulla".
E poiché il giudizio non è fra virgolette, ma è un riassunto dell'estensore del pezzo (simpaticamente definito "bocca della verità"), io vi dico che non ci credo, che Greppi abbia detto ciò. Se non altro perché sta pagando, come lui dice bene, i debiti residui di opere che vengono dalla mia Amministrazione. 
Tutto si può legittimamente dire delle mie due Amministrazioni, ma non che io e i miei compagni di strada non abbiamo fatto niente.
E veniamo al concetto di debito. Avete mai visto qualcuno (normale, non Berlusconi, per dire) che sia progredito senza contrarre debiti? E perché le banche, o i ministeri (a noi mai) concedono prestiti? Sicuramente non è un reato, altrimenti sarebbe proibito. Con un maxiprestito senza interessi del Ministero dello Sport, proposto dal vicesindaco Daniele (che era un bel tipetto ma col senno di poi fu un santo) fu costruito il Centro Sportivo che oggi tutti ci invidiano. 
Anche su quello a Greppi girarono, e girano probabilmente, le scatole: e nulla fece per valorizzarlo, tanto che è stato terminato da noi al mio ritorno in Comune, con i soldi della Mossi&Ghisolfi o della Ilvo non mi ricordo più: altrimenti sarebbe ancora come certe case incompiute che si vedono in Calabria.
Se una città vuole progredire, offrire servizi e anche cultura e piaceri ai suoi cittadini, deve ricorrere ai prestiti. Poi nel nostro caso c'è stato anche l'affaire M&G, e quel danaro arrivato legittimamente dalle compensazioni è stato utilissimo - tanto per dirne una - per rifare le strade nel 2009, quando le trovammo peggio di quelle che sono oggi a Roma grazie alla Raggi e ai suoi predecessori.
Poi, tutto il resto.
Io non ci credo che Greppi abbia detto ciò. Al massimo (e lo capisco) rosica per i milioni che ci consentirono di lavorare bene, prima che la notte tornasse sopra il mio adorato Paesello per gli errori e gli egoismi di qualcuno. 



martedì 12 giugno 2018

L'irresistibile risalita di Rosso, vicesindaco a Trino

La notizia è ovviamente Trino Vercellese: la sconfitta del sindaco Portinaro, battuto con i suoi 1584 voti da Daniele Pane, di centrodestra, con 2166 voti.
Mi dispiace per Portinaro che ritengo un ragazzo in gamba e una persona per bene. Trino era tenuta bene, una città pulita e ordinata come del resto Ronsecco, Tricerro e tanti paesini nei dintorni. Solo Crescentino sembra, da decenni, una sorta di Aleppo fra le risaie. Non c'è da andarne fieri. 
Non conosco Pane, dunque mi astengo.
Il vento di destra che sta soffiando non ha risparmiato nemmeno la pigra provincia vercellese.
La cosa più sorprendente, per quanto mi riguarda, è la designazione di Roberto Rosso a vicesindaco di Trino. Com'è noto, Rosso è stato parlamentare con Berlusconi, e candidato a sindaco di Torino. Un uomo rotto a tutte le esperienze.
Non so il perché, e il percome.
Certo, è una notiziona che ringalluzzisce tutti i vicesindaci. Occhio al nostro eh, che l'anno prossimo ci sono le elezioni del sindaco pure a Crescentino.
E occhio a sinistra. Stiamo attenti ai polli di Renzo. Vi ricordate, i polli descritti dal Manzoni, che portati da Renzo in dono all'avvocato Azzeccagarbugli (altra vecchia conoscenza crescentinese) e tenuti in mano per le zampe, a testa in giù,  dall'innamorato di Lucia, non trovavano di meglio che beccarsi fra loro, indifferenti al fatto che stavano andando verso il patibolo?

domenica 10 giugno 2018

Mi pare che a S:Silvestro ci sia l'autovelox fantasma

Io non so se voi sapete, e di certo ne sapete più di me. Ma negli ultimi tempi mi è capitato di passare più volte per San Silvestro e mai l'apparecchiatura elettronica dell'auto ha rilevato con un "dlin dlin" l'autovelox, mentre il rilevamento avviene regolarmente ai Galli.
Se penso  a quante guerre si sono fatte per dare un po' di sicurezza agli abitanti della frazione.
Se penso a quanti incidenti
Se penso a quante persone di San Silvestro vennero da me a lamentarsi.
Se penso al progetto della rotonda che sembrava completato... per poi risparmiare sempre sul nostro fondoschiena mettendo invece  l'autovelox...

Se penso a quanti schiaffi in faccia mi sono presa in 5 anni da Riva Vercellotti.... adesso mi sento anche presa - sempre dal medesimo -per i fondelli.

lunedì 4 giugno 2018

Il Governo Conte e i suoi dossier più delicati


Nel suo piccolissimo, questo Blog ogni tanto pensa di poter essere utile a chiarire le idee ai propri (scarsi) lettori sugli argomenti che travagliano la vita collettiva dei nostri tempi.
il 4 giugno il Governo Conte si mette al lavoro. Le incognite sono mille, la curiosità tanta e la paura anche di più.
Il principe dei giornalisti italiani, Ferruccio De Bortoli, sul Corriere della Sera parla dei tre dossier più delicati da affrontare. 



Ferruccio De Bortoli per il “Corriere della Sera”

I programmi elettorali si scrivono in assenza di gravità. L' azione di governo invece è appesantita da scelte obbligate, leggi vigenti, vincoli internazionali, impegni contrattuali. Il giurista Conte immaginiamo ne sia consapevole. Altri nel governo, specie tra le matricole, non sappiamo. E poi c' è la realtà dei numeri, peraltro scarsi nel pomposo «contratto». Fra qualche giorno qualcuno di loro dirà: «Non pensavamo di trovare una situazione così difficile...». E qualche scelta programmatica verrà sospesa o accantonata, forse anche saggiamente.

L' impatto con la nuda terra dell' amministrazione quotidiana non è stato mai semplice per nessun esecutivo. Anche nella continuità politica.

L'onesto incompetente può fare grandi danni

Figuriamoci per il neonato governo giallo verde o giallo blu, non si sa. Se l' esecutivo guidato(?) da Conte non si doterà di collaboratori esperti nel funzionamento della macchina dello Stato la navigazione sarà subito incerta. Uno non vale uno. L' onesto incompetente può fare grandi danni. Pietro Nenni disse che una volta entrati nella stanza dei bottoni, il luogo del potere, i socialisti non trovarono i bottoni. In questo caso, qualcuno rischia, senza validi esperti, di non trovare nemmeno la stanza.
Lasciamo per un attimo da parte il drammatico tema dell' incompatibilità economica del «contratto» con gli equilibri di finanza pubblica e con gli impegni legati all' appartenenza all' Unione monetaria. I mercati restano in agguato.
Domani ne capiremo l' umore.

I Tre dossier delicati del Governo Conte

1) Ilva di Taranto

Occupiamoci invece di tre dossier che il governo Conte dovrà affrontare nelle prossime settimane. Tre appuntamenti dai quali si capiranno il tono e la rotta di un' intera stagione amministrativa. Il neo superministro dello Sviluppo e del Lavoro, Luigi Di Maio, ha giustamente annunciato che il suo primo solenne impegno sarà quello di rilanciare l' occupazione al Sud. Come si concilia questo sacrosanto proposito con l' intenzione programmatica di chiudere e riconvertire l' Ilva di Taranto peraltro gradita dal governatore della Puglia, il pd Michele Emiliano?

È il più grande stabilimento del Mezzogiorno, impiega direttamente e indirettamente 20 mila persone. La produzione vale un punto di Prodotto interno lordo. Il primo luglio Arcelor Mittal, che ha vinto una gara internazionale, entrerà in azienda. Anche in assenza di un accordo sindacale. Il gruppo siderurgico spenderà 1,8 miliardi per l' acquisto, promette 2,3 miliardi di investimenti di cui 1,1 per il risanamento ambientale. Si può ancora trattare. Ma che facciamo? Mandiamo all' aria tutto?


L' azienda perde 30 milioni al giorno. Ha cassa ancora per un mese. La riconversione avrebbe costi faraonici ed esiti largamente incerti. Si decarbonizza da un lato e dall' altro, come ha dichiarato la neoministra del Sud, Barbara Lezzi, si blocca il gasdotto Tap (Trans Adriatic Pipeline)? Appare suicida poi chiudere l' Ilva di fronte ai dazi americani. I produttori colpiti negli Usa cercheranno spazi di mercato maggiori in Europa.

L' Ilva vende solo in Europa. Senza guardare all' ammontare delle penali, chi volete che venga più a investire - e non solo in Puglia - davanti a giravolte di questo tipo? Quando Riva, l' ex proprietario dell' Ilva, annunciò, nel settembre del 2013, la chiusura di alcuni stabilimenti lombardi, Matteo Salvini, allora vice di Roberto Maroni, protestò duramente in difesa di 1.400 posti di lavoro.
«Siamo pronti a tutto - scrisse su Facebook - da Varese alla Val Camonica passando per Brescia, se ci sarà da rischiare e fare casino, faremo casino». E parlando a Novi Ligure il 9 febbraio di quest' anno: «Marchiamo a uomo affinché il piano industriale dell' Ilva sia portato avanti, sperando che in Puglia si mettano d' accordo. Le promesse messe per iscritto vanno mantenute e qualcuno deve impegnare l' azienda a mantenerle».

Giovanni Tria ha espresso il 14 maggio su Formiche.net tutte le sue riserve sulle scelte del nascente, prima versione, governo pentaleghista. «Più preoccupante il fatto - scriveva il futuro ministro dell' Economia - che non sia chiaro l' indirizzo di politica industriale, vedi l' imbarazzante caso Ilva».

2) Il caso Alitalia

Sono giorni decisivi anche per il futuro dell' Alitalia. Nel «contratto» si legge che va «rilanciata nell' ambito di un piano nazionale dei trasporti che non può prescindere dalla presenza di un vettore nazionale competitivo». Tra le offerte pervenute ai commissari, solo per pezzi di azienda, la migliore sembra quella di Lufthansa. Ma comporterebbe un sacrificio occupazionale, diretto e indiretto, tra 2 e 4 mila posti. Oggi ci sono già 1.500 lavoratori in cassa integrazione.

Il governo uscente ha prestato all' azienda finora 900 milioni.

È aperta una procedura europea sul sospetto di aiuti di Stato. Un rilancio, con un soggetto italiano privato e pubblico è possibile, ma occorre sia fatto a condizioni di mercato e con forti investimenti. Anche nazionalizzando in ipotesi i tagli occupazionali vanno fatti. Erano insufficienti i capitali messi a disposizione dai cosiddetti capitani coraggiosi e, successivamente, dagli arabi di Etihad. Ed è finita male.

Chi li mette i soldi necessari per creare un «vettore nazionale competitivo»? Stiamo parlando almeno di un paio di miliardi, anche perché va restituito il prestito pubblico. Alitalia è finora costata ai contribuenti una cifra che oscilla tra gli 8 e i 9 miliardi.

3) Cassa Depositi e Prestiti

Terzo dossier delicato è quello della Cassa depositi e prestiti (Cdp). Gestisce il risparmio postale. Ha un attivo di 370 miliardi di cui 150 versati nel conto di tesoreria. È il polmone finanziario della Repubblica. Ha partecipazioni azionarie per 35 miliardi. È appena entrata in Tim. L' assemblea per il rinnovo dei vertici - l' attuale presidente Claudio Costamagna e l' amministratore delegato Fabio Gallia sono in uscita - è fissata in seconda convocazione il 28 giugno.

Entro il 16 gli azionisti, ovvero il ministero dell' Economia e delle Finanze e le Fondazioni bancarie, dovranno depositare le liste con i nuovi amministratori. Tra i candidati si è parlato finora di Massimo Tononi alla presidenza e di Dario Scannapieco come ad. C' è anche l' ipotesi di Franco Bernabé. Sono tutti ottimi nomi.

Quali scelte farà il nuovo governo? Nel «contratto», la Cdp non è citata. Si parla però della creazione di una banca per gli investimenti e lo sviluppo. Davide Casaleggio ha fatto più volte l' esempio della francese Bpifrance partecipata da Caisse des Dépôts. Il rispetto dei criteri di competenza degli amministratori e di governance sarebbe già un ottimo inizio.

Un diverso indirizzo strategico, come quello che traspare dal «contratto», potrebbe scontrarsi con i vincoli non solo statutari ma anche con quelli fissati dalle regole europee. Cdp non è una banca. Se lo fosse dovrebbe essere sottoposta alla vigilanza prudenziale di Francoforte. Agisce già come una sorta di fondo sovrano italiano, finanzia infrastrutture e innovazione. Può fare di più e meglio.

Ma se si rispettassero i vincoli, l' Italia rischierebbe ancora una volta una procedura europea con effetti sul perimetro delle attività statali e sul calcolo del debito pubblico. Il governo e il Parlamento hanno tutto il diritto di cambiare struttura e missione della Cdp - come di Invitalia, che ha appena acquisito la Banca del Mezzogiorno - ma il cammino è irto di ostacoli che vanno attentamente soppesati. Il cambiamento è necessario ma tutt' altro che facile. E soprattutto ha sempre costi nascosti e imprevisti.