martedì 25 dicembre 2018

Tanti auguri, Buon Natale con la Finanziaria

Tanti auguri a tutti voi, gente mia di Crescentino

Questo per me non è un gran Natale, come ben immaginerete.
Ma non è per farvi un dispetto che vi ammollo questo utile articolo di Marcello Sorgi da La Stampa dei giorni scorsi, dal quale se ne avrete la pazienza potrete ricavare qualche salutare informazione sui meccanismi della Finanziaria e sul perché siamo nei guai come italiani. Come ho appena scritto e ripeto, l'articolo non è sul dopo approvazione, con quel gigantesco casino anticostituzionale messo in piedi dai gialloverdi, ma sulla Finanziaria in sé. 
Che Gesù Bambino ci tenga una mano sulla testa, e provate a capirci qualcosa.
Tanti auguri davvero, con il cuore.
Marinella



Marcello Sorgi
La legge di stabilità in corso d’approvazione nella notte al Senato tra molte difficoltà ha realizzato un paradosso di cui 5 stelle, Lega e il governo giallo-verde si mostrano inconsapevoli, ma dovranno presto prendere atto. 
Nata come legge di spesa, con l’obiettivo di scuotere un Paese enomicamente addormentato e tendente di nuovo alla recessione, facendo circolare denaro pubblico, ed anzi mettendolo direttamente nelle mani dei cittadini attraverso il reddito di cittadinanza, le pensioni e sperabilmente gli stipendi dei nuovi assunti che dovrebbero essere chiamati a rimpiazzare chi lascerà il lavoro, invece di creare soddisfazione tra la gente più bisognosa (ciò che si vedrà quando le due misure chiave, non ancora contenute nella manovra, saranno effettivamente realizzate), ha diffuso scontento in un interminabile elenco di categorie sociali, rimaste a bocca asciutta.
Si dirà che questa è ormai da anni la prassi di tutte le leggi di stabilità, almeno da quando le autorità europee hanno imposto a Paesi dissestati come il nostro severe politiche di bilancio. Ma a parte il fatto che stavolta il governo, e soprattutto i due vicepremier che ne costituiscono l’ossatura, avevano sfidato la Commissione europea e sono stati precipitosamente costretti a far marcia indietro, la lista degli insoddisfatti che protestano è così lunga proprio per il modo in cui la legge è stata concepita: dall’alto, senza ascoltare nessuno, tenendo anzi fuori dalla porta sia i parlamentari che poi avrebbero dovuto votarla, sia i rappresentanti delle varie categorie e perfino i lobbisti, che nel modo semiclandestino, tipico del Parlamento italiano, avevano sempre preso parte ai lavori preparatori del testo, suggerendo qui e là qualche emendamento, o accontentandosi di promesse per il futuro.
La legge di stabilità, infatti - ma anche questo gli inesperti dioscuri del governo Di Maio e Salvini lo hanno ignorato, chissà se in buona fede o per distrazione -, rappresentava solo una delle punte di un tridente che serviva per governare l’Italia. Le altre due erano il cosiddetto “decreto milleproroghe”, costruito per procrastinare le tante e tante soluzioni provvisorie che venivano approntate per i problemi emersi nel corso dell’anno (crisi aziendali, cassa integrazione, assunzioni a termine in scadenza, ecc.); e la cosiddetta “legge mancia”, che dotava i parlamentari, quando ancora si presentavano personalmente davanti agli elettori e non come numeri inseriti nelle liste dai capipartito, di un piccolo gruzzoletto da spendere sul territorio per le necessità più urgenti. Era in questo modo, discutibile quanto si vuole, che il complesso reticolato degli interessi della società italiana veniva amministrato. All’epoca della spesa pubblica senza limiti e di un presidente di commissione Bilancio entrato nella storia come Paolo Cirino Pomicino (non a caso, all’inizio, sbilanciatosi a favore del governo giallo-verde), il grosso del lavoro veniva sbrigato appunto nell’esame preventivo dei membri della commissione: erano loro a ricevere le associazioni di categoria, a negoziare con le opposizioni, ad affrontare le lobbies che stazionavano nei corridoi. E a portare in aula un semilavorato, che richiedeva solo qualche piccolo aggiustamento. Il contrario esatto di quanto accaduto stavolta, con il governo, e soprattutto i due vicepremier, convinti di accontentare tutti con il reddito e la quota 100, e sorpresi dalle sollevazioni popolari. Proteste che non si concluderanno certo dopo il varo definitivo della legge di bilancio, e speriamo non siano destinate a degenerare come in Francia, dei diversi pezzi di società civile, accantonati e non ammessi neppure al rito del confronto, tipico di tutti i Parlamenti del mondo.
In prima fila ci sono i pensionati cosiddetti “d’oro”, manager d’impresa, dirigenti pubblici e privati, che hanno lavorato una vita e versato contributi e adesso si sentono dire che cinquemila euro al mese di pensione sono troppi e bisogna tagliarli per aiutare quelli che ne prendono meno. C’è il popolo della partita Iva, imprenditori medi, piccoli e mini o liberi professionisti, anche giovani, che si aspettavano la flat tax e scoprono che non è prevista se uno è titolare o socio di un’impresa. Della serie: abbiamo scherzato. C’è il terzo settore, il mondo del volontariato, che chiedeva facilitazioni che non sono arrivate. C’è, più in generale, la Chiesa, preoccupata degli effetti del “decreto sicurezza”, che stanno mettendo per strada centinaia di immigrati usciti dai centri di assistenza. Ci sono i magistrati, ai quali era stato detto, ma non è stato fatto, che sarebbero potuti restare in servizio fino a 72 anni, anche per compensare il taglio delle pensioni che riguarda gran parte di loro. Ci sono le grandi associazioni tipo Confindustria e Confartigianato, che hanno oscillato tra critiche e consensi, ma adesso si ritengono fregate. Ci sono i costruttori delle Grandi Opere che non possono certo accontentarsi del solo ponte di Genova e vorrebbero una parola definitiva sul Terzo Valico, sulla Pedemontana e sulla Tav. E ancora gli autisti delle società Ncc, noleggio con conducente, esclusi da una norma che favorisce i tassisti e penalizza chi ha una macchina comperata a rate e per pagarla ha bisogno di lavorare. Naturalmente, non è detto che abbiano tutti ragione, né che vadano per forza accontentati. La legge di stabilità non può essere una panacea generale ed è motivo di contrasto ovunque (vedi l’America di Trump proprio in questi giorni). Ma aspettarsi qualcosa di più da una “manovra del popolo” che doveva “abolire la povertà”, questo sì, era lecito.

lunedì 17 dicembre 2018

L'ondivago Renzi cerca uno spazio per sé. E Il partito? Ciccia

Tanto per dire in che mani siamo stati, un po' ancora siamo, e (dio ce ne scampi e calamari) potremmo tornare, ecco le indiscrezioni publicate da La Stampa sull'ondivago Renzi, che continua a farsi gli affari propri (almeno lo facesse lontano da noi, e ci lasciasse vivere in  pace - per quel che si può - le regole della democrazia)
MV


Il “partito di Renzi” è diventato l’araba fenice della politica italiana: che ci sia, ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. Ma del suo progetto l’ex presidente del Consiglio parla eccome nelle tante chiacchierate private al massimo livello che intreccia da diverse settimane a questa parte. E in quelle occasioni la “cosa renziana” sembra prendere corpo assai più di quanto non appaia in pubblico. Una decina di giorni fa Matteo Renzi era a Bruxelles e in un giro di incontri, l’ex premier ha parlato anche con il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. E al suo interlocutore Renzi ha confidato quel che ha in testa. Facendo capire di aver deciso lo showdown, ma senza chiarire quando scioglierà la riserva, Renzi ha però spiegato il senso dell’operazione: «Dicono che io voglia fare un partito con Berlusconi, ma è vero l’esatto contrario: io punto all’elettorato di Berlusconi e non solo a quello».

Juncker, raccontando il colloquio nei giorni successivi ai principali referenti del Ppe, ha preso atto con soddisfazione del progetto di Renzi, perché potrebbe incastrarsi dentro un mosaico più largo. L’ex premier italiano (che a Bruxelles si è visto anche con la liberale olandese Margrete Vestager e con il vice presidente della Commissione europea, il socialista olandese Frans Timmermans) sa bene che dopo le elezioni Europee di fine maggio, il Ppe – ultimo partito-guida dell’Ue – sarà chiamato ad un bivio. 
O allargare la maggioranza nell’Europarlamento, oltreché ai socialisti, anche ai macroniani, ai Verdi e alle formazioni di frontiera come gli spagnoli di Ciudadanos; oppure andare all’accordo con i sovranisti. Due opzioni con capofila diversi e contrapposti: i cristiano-sociali come Juncker e Merkel tifano per la soluzione “maggioranza allargata”, mentre gli austro-ungarici – Sebastian Kurz e Viktor Orban – puntano all’intesa con Salvini. E Renzi, in network con Emmanuel Macron e con lo spagnolo Albert Rivera di Ciudadanos, in quella prospettiva sa di poter avere un ruolo.
Ma alla fine il cotè italiano resta nettamente prevalente. E da questo punto di vista il quadro si è molto appannato negli ultimi giorni e la prospettiva del “partito” a breve, si è di nuovo allontanata. Con un’altalena di propositi che ha allarmato anche gli amici di Renzi. Le docce scozzesi delle ultime due settimane sono eloquenti. 
Nei primi cinque giorni di dicembre, davanti al forfait di Minniti, Renzi aveva effettivamente deciso di rompere gli indugi e di lanciare il suo movimento prima delle Europee. Ma il polemico e clamoroso ripensamento dell’ex ministro dell’Interno e lo sconcerto-panico tra le fila renziane, per qualche ora avevano indotto Renzi a cavalcare la suggestione di presentarsi lui stesso alle Primarie contro Nicola Zingaretti.
Ma il suo ennesimo ripensamento, meglio lasciar perdere, ha provocato in poche ore una frana tra i parlamentari renziani: ben 85 parlamentari, un tempo vicini all’ex premier, sono passati con Maurizio Martina, compresi il presidente dei senatori Andrea Marcucci e Luca Lotti, da anni braccio destro dell’ex premier.
I non-allineati sono rimasti pochissimi: Maria Elena Boschi e Lucio Marattin (protagonisti di alcune iniziative politiche in tandem), Pier Carlo Padoan, Michele Anzaldi, Marco Minniti. Non appena la frana si è materializzata, Renzi ha detto in pubblico: «Io al congresso non voto per nessuno, sono fuori dai giochi, sono un parlamentare dell’opposizione».

venerdì 14 dicembre 2018

Renzi permetta al PD di essere un partito di opposizione

Con il titolo qui sopra, del suo fondo pubblicato su La Stampa di ieri, Federico Geremicca sembra aver dato chiarezza a un pensiero confuso ma diffuso.
Lo pubblico con tutto il cuore 

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A cinque anni esatti dall’elezione con la quale il «popolo delle primarie» lo scelse come segretario del partito (con un plebiscitario 67,5 dei consensi), il Pd avvia il suo complicato iter congressuale e archivia la lunga parentesi renziana in un clima di mestizia e confusione. Varrebbe dunque la pena di soffermarsi sul senso ed i risultati dell’era-Renzi, provando ad andar oltre quel che è sotto gli occhi di tutti: anche perché è proprio quel che ancora non si vede il problema più serio che è di fronte al Pd.
Quel che si vede, naturalmente, sono i risultati elettorali ottenuti in questi 5 anni - fino al minimo storico del voto del 4 marzo - e la decimazione di un gruppo dirigente ridotto, ormai, quasi a niente. Per ragioni diverse, infatti, il Pd renziano ha perso o messo ai margini padri fondatori (come Prodi e Veltroni), ex premier (come Letta e Gentiloni) e dirigenti storici del centrosinistra italiano (da Bersani a Rosy Bindi, passando per decine di altri). Per non parlare, naturalmente, della rottura personale tra l’ex sindaco di Firenze e Napolitano, e del grande gelo calato tra Renzi e l’attuale inquilino del Quirinale, Sergio Mattarella.
Il Pd che va a Congresso, dunque, è un partito che ha letteralmente cambiato pelle, mutando - assieme al suo gruppo dirigente - linea politica, identità e radicamento sociale. In cinque anni si è trasformato da una grande forza popolare (quella delle periferie e delle «regioni rosse») nel cosiddetto «partito ztl», per dire di un movimento presente quasi solo negli eleganti e ricchi centri storici delle grandi città. 
È possibile, insomma, che nel lontano dicembre 2013 - quando Renzi divenne segretario - il Pd avesse bisogno di novità e di una qualche scossa: i fatti, però, hanno dimostrato che la terapia imposta era sbagliata, e che molto non ha funzionato. Ed è precisamente da qui, dalle condizioni della ripartenza, che cominciano i guai peggiori del Pd: quelli che ancora, per dir così, non si vedono con la necessaria chiarezza.
Il problema numero uno sembra oggi essere addirittura quello della rappresentanza. Un partito infatti nasce (o rinasce o si rilancia) con l’ambizione di rappresentare umori e interessi di una parte della società: di chi vuol essere bandiera e portavoce il «nuovo Pd» non più renziano? Più precisamente: quali umori e quali interessi intende difendere nel pieno della bufera sovranista? Ha un’idea di Paese da proporre, diversa da quella tutto ottimismo ed eccellenze su cui ha puntato Renzi? Un Congresso come si deve, dovrebbe partire da qui: ma un Congresso come si deve non si celebra a un anno di distanza dalla più clamorosa delle sconfitte e non prevede che il segretario uscente (intendiamo Renzi) vesta i panni incongrui del guastatore.
RenL’ex presidente del Consiglio - si sa - non ha mai amato il Pd. Il disamore, certo, è stato ricambiato: ma questo non sposta la questione. Negli ultimi mesi ha fatto di tutto per sminuire e boicottare l’appuntamento congressuale: «Non me ne occupo», ha comunicato con qualche sprezzo. Ha fatto sapere, però, che ha pronti un libro e una tv, e che i suoi comitati civici sono al lavoro. Secondo molti, Renzi è pronto a un movimento tutto suo. Può essere: e non c’è nulla di scandaloso. Per una volta, però, provi a esser generoso col partito grazie al quale è arrivato fino a Palazzo Chigi: se deve andare, vada. Metta fine a questa lugubre commedia. E permetta al Pd di provare a ripartire, e a questo Paese di avere un’opposizione degna di tale nome.

domenica 9 dicembre 2018

Troppi premi per il mio Mimmo, grazie...



(Scusate, stavolta la faccio un po' lunga)
E' successo qualcosa di inatteso, e sono un po' in difficoltà. 

Il Premio "Mimmo Càndito-Giornalismo a Testa Alta"
1) Alcuni compagni di avventure giornalistiche di Mimmo Càndito, mio marito scomparso il 3 marzo scorso, insieme con il prof. Gian Giacomo Migone, del gruppo editoriale de "L'indice dei Libri del mese" del quale Mimmo è stato direttore per 18 anni, hanno avuto l'idea di lanciare una raccolta di fondi - crowdfunding si dice adesso che l'italiano va pochissimo di moda - per dare vita a un "Premio Mimmo Càndito - giornalismo a testa alta" destinato a reporter, studenti di master, analisti, studiosi: tutti attivi nel campo della politica internazionale, e nel cartaceo e nel web (prossimamente anche video e tv), che nei loro lavori mostrino di esprimere il rigore, l'onestà, la preparazione e la sapienza che  Mimmo incarnava e che ne ha fatto un grande reporter di guerra e scrittore amato da tutti.

Se volete vedere di che pasta è fatto questo premio, digitate www.retedeldono.it/premio-mimmo-càndito 
Così, tanto per saperne di più. Sono stati già raccolti circa 5 mila euro da ogni parte d'Italia. Si possono anche donare soltanto 10 euro, lo si può fare in anonimato. La raccolta terminerà in maggio. 
Ma il percorso è appena iniziato, il bando di concorso uscirà ad inizio 2019, la premiazione avverrà durante il Salone del Libro a Torino.

Sapranno già coloro che hanno letto del Premio sul blog di Mauro Novo, che non gliene scappa una e che ha letto la notizia su La Stampa. Per carità di patria, debbo confessarvi che quei pochissimi di Crescentino che hanno ricevuto da me personalmente via internet la notizia dell'iniziativa, non mi hanno proprio filata. Nemmeno risposto, dico, nemmeno qualcosa tipo "Ma che bella idea, ma come sono contento per te e per lui". Zero virgola zero. Qualcuno avrà  avuto paura che io chiedessi dei soldi? Ma io a Crescentino mai ho chiesto nulla e neanche adesso. Se uno ha voglia di dare, dà e ciao Ninetta.

                                  Si fa avanti Fabrizio Greppi

2) Il Sindaco di Crescentino, Fabrizio Greppi, era un estimatore di Mimmo. E' stato molto gentile quando se n'è andato mio marito, mi ha telefonato, è venuto al funerale e quant'altro. Ancora lo ringrazio.

Lui del premio ha sentito parlare non da me, o ha letto, e ha avuto una reazione: mi ha chiamata qualche giorno fa per dirmi della sua intenzione di istituire a sua volta un premio in nome di Mimmo, in Crescentino. Ma è stata una conversazione breve perché io ero all'estero e ci siamo lasciati dicendo che ne avremmo parlato al mio ritorno.

Però la cosa è andata comunque avanti, il Sindaco ne ha parlato credo ai giornali, almeno ho visto un pezzo di Laura Di Caro su Lastampa.it  dove si diceva del progetto di Greppi, e che Mimmo amava tanto Crescentino ed era sposato con la giornalista eccetera eccetera, senza citare il trascurabile fatto che io del mio Paesello sono stata sindaca due volte. E amen (roba che a un'altra tornerebbe la voglia di ricandidarsi).

Adesso un problemino c'è. Questo annuncio crescentinese, fatto proprio nel momento in cui sta decollando il crowdfunding e con esso il premio Mimmo Càndito Giornalismo a Testa Alta, finisce per incasinarci la vita dopo mesi di lavoro su un progetto nazionale e complesso. Si crea confusione, sono arrivati al nostro ufficio di Torino i ritagli del premio di Crescentino e qualcuno già non ci capisce più niente.

Perciò io, ringraziando con tutto il cuore Fabrizio Greppi per l'iniziativa che davvero mi commuove e anzi mi onora, gli chiederei di posticipare di qualche tempo, dandoci il tempo di andare avanti con l'altro, e almeno concretizzare il bando con i 50 e passa promotori da tutta Italia: un lavoraccio ragazzi, credetemi. Sono la presidente dell'Associazione che è stata creata e non poteva essere altrimenti, ho seguito tutto in prima persona.

Aggiungiamo a tutto ciò che fra qualche mese a Crescentino ci saranno le elezioni amministrative, e metter di mezzo in questo frangente un premio Mimmo Càndito nel quale potrei anche non essere coinvolta - non potendo quindi verificare se la qualità delle proposte sia all'altezza del nome che si vuole onorare - sarebbe anche assai spiacevole. 

Si aggiunga che è stra-noto che il sindaco Greppi ed io ci troviamo su fronti ideologicamente opposti, e anche se sul giudizio benevolo su Mimmo andiamo invece d'accordo, se questa iniziativa si tenesse in campagna elettorale potrebbero emergere risvolti imprevedibili, e mi vien male solo a pensarci. Io mica ho digerito il fatto che Mimmo non c'è più. Siamo stati insieme 44 anni, ed è tuttora durissima, credetemi.

Per tutti questi motivi, conto sulla comprensione di Fabrizio, e gli chiedo per cortesia di rinviare l'iniziativa almeno a maggio, per non mettermi in imbarazzo. 
Ma intanto grazie davvero per averci pensato.