domenica 28 maggio 2017

Il caso D'Alema, da Nanni Moretti ai nostri giorni


Dai tempi della famosa battuta in "Aprile" di Nanni Moretti ("D'Alema, di' qualcosa di sinistra") c'è un politico che divide e fa discutere gli italiani che si appassionano a questi argomenti. D'Alema è uno che si ascolta e si bastona anche volentieri: negli ultimi due giorni, una lunghissima e interessante sua intervista, da parte di Aldo Cazzullo sul "Corriere della Sera" (che vi ammollo più sotto) è stata seguita da un malizioso commento su "Repubblica" di Sebastiano Messina: che gli fa le pulci per ogni dichiarazione, sostenendo in pratica che Leader Massimo, nelle parole che leggerete qui, non fa che criticare comportamenti altrui che però in altri tempi sono stati i propri. 

Comunque la si pensi, una lettura interessante, anche piena di verità.

Dal "Corriere della Sera"
Di Aldo Cazzullo.

Massimo D’Alema, valeva la pena fare tutto questo per fondare un partitino del 3%?
«Ognuno deve fare quello che corrisponde ai propri valori. Meglio prendere il 3% a favore di ciò che si ritiene giusto che il 20 a favore di ciò che si ritiene sbagliato. E comunque io credo che lo spazio a sinistra del Pd sia molto più grande».

Era proprio inevitabile la scissione?

«Inevitabile e persino tardiva. Bisognava farla prima: era matura già con il Jobs Act. Tutta l’ispirazione politica renziana è contraria ai valori della sinistra e prima ancora agli interessi del Paese. Il renzismo non è stato che il revival del berlusconismo».

Non le pare di esagerare?

«Meno tasse per tutti. Bonus. Abolizione dell’articolo 18. Financo il ponte sullo Stretto. Mi stupisco che Berlusconi non si rivolga alla Siae per avere i diritti d’autore. E per due anni e mezzo si è paralizzato il Parlamento per una riforma costituzionale confusa, spazzata via dal popolo; e per una legge elettorale incostituzionale, frutto di un mix di insipienza e arroganza».

Alla Siae il copyright dell’arroganza è suo.

«No. Io posso essere arrogante con i prepotenti; non mi permetterei mai di esserlo con l’interesse del Paese. Renzi ha imposto una legge elettorale solo per la Camera, dando per scontato che il Senato venisse abolito. Ora siamo alla vigilia delle elezioni e la legge elettorale non c’è. Il fallimento del renzismo non potrebbe essere più totale; ma nessuno ha il coraggio di scriverlo, per non fare la fine di Campo Dall’Orto».
Si lavora a un accordo sul modello similtedesco.
«Un vero maggioritario, sul modello del Mattarellum, lo avremmo apprezzato. Ma in commissione è stata approvata una legge escogitata dal senatore Verdini, che con il Mattarellum non ha nulla in comune. Si vota con un’unica scheda, su cui tutti i partiti presentano il loro simbolo; però collegio per collegio possono decidere di presentare anche un candidato. Una legge immorale, che genera accordi di potere di natura notabilare, ricatti, condizionamenti: in venti collegi do via libera a Verdini, ad Alfano garantisco che nessuno si presenterà contro di lui ad Agrigento… Questo nella tradizione italiana si chiama trasformismo. Torniamo all’età giolittiana senza Giolitti, ma con tanti piccoli Depretis".

Perché ce l’ha tanto con Verdini?

«Sono i magistrati che ce l’hanno con lui, non io. È un uomo intelligente. Renzi si è scelto un consigliere di qualità: un professionista. Che però non esprime l’idea di rinnovamento del Paese cui penso».

Renzi e Berlusconi trattano sul proporzionale con sbarramento al 5%.

«Rispetto a un pastrocchio, meglio una soluzione europea; ma il vero modello tedesco avrebbe bisogno di modifiche costituzionali, come la sfiducia costruttiva».

Oggi a sinistra del Pd ci sono tre partiti: il vostro, quello di Pisapia e quello di Vendola. Vi metterete insieme?

«C’è molto altro. Ci sono i comitati per il No di Zagrebelski, c’è un pezzo importante di società civile, il mondo del cattolicesimo democratico. Sono forze che devono unirsi in un’alleanza per il cambiamento, aperta a tutti quelli che vogliono dare vita a un programma di centrosinistra».

Quanto potrebbe prendere questo nuovo partito?

«L’alleanza per il cambiamento ha una potenzialità che va molto al di là della somma delle singole forze. Dovrebbe nascere da un processo costituente, attraverso la rete e una serie di assemblee, con una grande consultazione programmatica. E dovrebbe comportare elezioni primarie sia per l’indicazione dei candidati (un punto forte dell’intesa Berlusconi-Renzi è il mantenimento delle liste bloccate), sia per la scelta di una personalità che guidi questo processo».

Pisapia?

«Chiunque sia deve essere scelto dai cittadini. Io non sono candidato».

È una fortuna, visto che Renzi non vuol fare accordi con un partito in cui ci sia anche lei.

«Il suo modo dilettantesco di governare ha creato danni enormi al nostro Paese. Che piaccia o no a Renzi, D’Alema c’è: se ne faccia una ragione. L’Italia ha bisogno di una svolta profonda e di una nuova politica economica, incentrata sugli investimenti. Siamo l’unico Paese che la commissione europea critica da sinistra, chiedendoci di rimettere l’imposta sulla prima casa almeno ai ricchi».

Ma ha risposto di no Padoan, uomo un tempo a lei vicino.

«Il primo a dire di no è stato Renzi; Padoan si allinea, e mi rattrista. Renzi si è convinto che, declinando Berlusconi, il vero compito del Pd fosse eliminare la zavorra a sinistra e occupare il centro del sistema. Il messaggio era: vi porto al potere e ci resteremo vent’anni. Ecco il grande miraggio che ha sedotto un intero ceto politico».

Compresi quasi tutti i dalemiani.

«E con questo?».

Forse in Renzi c’è qualcosa anche di D’Alema. Pure lei voleva superare l’articolo 18 e si scontrò con Cofferati.

«Proposi due anni di franchigia per le aziende che crescessero oltre i 15 dipendenti. Un’idea intelligente, che a regime non avrebbe ridotto ma esteso le tutele per i lavoratori. Il problema dell’Italia non è la flessibilità del lavoro, garantita fin dalle norme Treu. Il problema è la scarsa produttività. La precarizzazione non lo risolve; lo aggrava».

Se Renzi è un tale disastro, perché ha stravinto le primarie?

«Perché non ha detto la verità sul suo progetto: allearsi con Berlusconi. Del resto, il suo modello è House of Cards, e uno dei cardini della sua politologia è non dire la verità. Ma l’ammucchiata di forze “responsabili” mi ricorda più Razzi e Scilipoti che Moro e Berlinguer. Una parte secondo me maggioritaria del Pd vuole il centrosinistra. Il “Renzusconi” non mi pare molto popolare, anzi tirerà la volata a Grillo».

Bersani con Grillo vorrebbe dialogare.

«La gente vota Grillo non perché è impazzita, ma perché è indignata dalle ingiustizie: se non paghi il mutuo ti portano via la casa; ma se un imprenditore non restituisce il miliardo che ha avuto in prestito non perde nulla, e le banche vengono ricapitalizzate con il denaro dei contribuenti. Nell’ambito di una ricerca il 28% dell’elettorato dei Cinque Stelle si è detto di sinistra; ma dichiara di votare Grillo perché la sinistra non c’è più».

Cinque Stelle costola della sinistra?

«Stiamo lavorando per offrire agli elettori una proposta alternativa di sinistra. Ma, attenzione: i 5 stelle non sono percepiti come il Front National. Marine Le Pen non ha sfondato grazie a Mélenchon, che ha intercettato parte del voto operaio. Se uno vede la Torino della Appendino e del trionfo del Salone del libro, non gli viene in mente il fascismo».

Meglio Grillo di Renzi?

«Né Grillo, né Renzi. Noi vogliamo offrire al Paese un’altra scelta».

Anche lei è favorevole al reddito di cittadinanza?

«Parlerei di reddito di inserimento: una formula più selettiva e più sostenibile. Ma il messaggio rivolto alla parte più debole del Paese è importante. Nel dopoguerra non si era mai visto un tale livello di disuguaglianza sociale. Cinque milioni di italiani non sanno se domani avranno da mangiare. Altri rinunciano a curarsi perché non possono pagare i superticket; infatti l’aspettativa di vita decresce. E il governo ha stanziato il bonus libri per tutti i diciottenni, compreso il figlio del professionista; che i libri se li può comprare, oppure leggere nella biblioteca di papà. In queste condizioni, come stupirsi se la gente vota Cinque Stelle? Dobbiamo offrire un’alternativa a chi vuole esprimere un voto di protesta o astenersi».

Che idea si è fatto del caso Boschi?

«Si dovrebbe fare la commissione d’inchiesta sulle banche, quella che il Pd dice di volere ma in realtà boicotta. Conoscendo de Bortoli, sono incline a pensare che la sua versione sia vera. Se Ghizzoni la confermerà, la Boschi dovrebbe andarsene. Mi domando se non si configurino un abuso di potere e un reato ministeriale».

Come sta governando Gentiloni?

«Meglio di Renzi; ma non ci voleva molto. Ci è stato detto che dovevamo turarci il naso e votare Sì al referendum perché Renzi era insostituibile. Renzi è andato via e non c’è stato il diluvio. In realtà siamo tutti sostituibili, compresi Renzi e Gentiloni. Considerata la qualità del governo del Paese, non è difficile pensare che possano essere sostituiti in meglio».

sabato 27 maggio 2017

Cosa c'era di diverso in Biblioteca il 24 maggio 2014




Dice l'Asesur, sulla Periferia (che di lui scrive "... sta dimostrando sempre più di lavorare per il bene culturale di questa realtà della bassa Vercellese..").
Ricordando le gesta antecedenti al 2009, dopo aver esaltato l'abbattimento del muro del parco Tournon, "luogo di delinquenza e spaccio", riassume dunque l'Asesur: "Si è così proceduto alla rivisitazione della Biblioteca ed eravamo riusciti ad avere più di 13 mila utenze. Un buon risultato per un comune che contava 8 mila abitanti. Tutto questo grazie ad iniziative ed eventi. Quando siamo tornati, la situazione era diversa...". 
Diversa, nel senso che c'erano i volontari: sapete come sono a volte le casse, o mangiare la minestra o saltare la finestra. Eppure avevo messo su una bella rassegna di scrittori in città con tanto di aperitivo, qualcuno se ne ricorderà no?

Ora  finalmente in Biblioteca c'è una cooperativa, e che Dio benedica per questo  Giuseppe Arlotta (finita la campagna di denigrazione, tagliati i capelli ai riottosi, i fondi sono tornati).

Ma io so che cosa davvero ha trovato di diverso, nel 2014, l'Asesur. Non ha più trovato per esempio la polvere sulla sua scrivania, né lo stato di abbandono e il disordine che albergavano nel suo ufficio, né gli scatoloni con il Fondo Casalone: che sono stati vuotati, e il contenuto ripulito e archiviato con amore, guardacaso dopo il 2009 e prima del 2014. Ah, signora mia. 



lunedì 22 maggio 2017

Se i politici imparassero da Enrico Mentana


Le notizie muoiono in fretta, ma la sostanza rimane. Quello che leggerete qui sotto, è lo sfogo di Enrico Mentana, secondo me il più bravo direttore di TG degli ultimi vent'anni, e infatti uno che usa la prudenza con prudenza, e dice pane al pane. Un atteggiamento che non è per esempio da politici, ma spesso neanche da direttori di Tg.
Qui sotto, sulla sua pagina Facebook, Mentana sfoga la propria amarezza nei confronti di tutti quelli che hanno criticato ("al veleno", dice lui) sui social la manifestazione di Milano dei giorni scorsi per l'accoglienza dei migranti: e risponde per le rime, accusando di ignavia e di indifferenza civica i numerosi critici della giornata: i cui concetti vengono spesso espressi anche sui nostri blog cittadini. 




Dal Facebook di Enrico Mentana
Sui social tanto tanto livore per chi manifesta a Milano oggi. 
Si può non essere d'accordo in nulla con le ragioni di chi marcia, ma perché tutto questo veleno? 
Perché un odio così forte verso l'idea di accoglienza? 
Perché tutte quelle litanie sul sostegno che invece non si darebbe agli italiani poveri?

Chi non lo darebbe, l'Unicef? Emergency? La Caritas? O invece, molto più probabilmente, una buona parte degli stessi autori dei commenti? 
Vi rode forse che tutto questo avvenga nella città che è stata sempre l'emblema dell'accoglienza, negli anni delle migrazioni dal sud, che tuttora accoglie più di tutti, e ciò nonostante produce occupazione e sviluppo? Vi piacerebbe che le cose andassero male, che la festa si trasformasse in qualcos'altro. 
Non avete mai mosso un dito contro mafiosi e camorristi, contro gli evasori e i corrotti, sbraitate solo quando acciuffano un politico ladro, purché della parte opposta alla vostra, avete fatto il tifo per la banda di Romanzo Criminale e i Savastano di Gomorra, parcheggiate in seconda fila e ve ne fregate della differenziata, e però per voi la vergogna sono quei manifestanti di Milano. Non concepite che uno possa aiutare chi ha bisogno, 
 infatti diffondete la calunnia che le Ong siano spinte dal lucro e dal malaffare. 
Mi sono chiesto per tanto tempo come sia stato possibile che da noi, 80 anni fa, le leggi razziali siano state varate e attuate senza nessuna reazione popolare. 
Ma come, noi, gli "italiani brava gente", restammo zitti, e anzi partecipammo con zelo alla loro applicazione, alcuni fino alle estreme conseguenze?
Grazie a voi, al cinismo ferino delle vostre parole, ho potuto capire di chi siete ideali eredi. E siccome, è cosa nota, la storia si ripete in farsa, magari arriverà il giorno, come avvenne dopo la Liberazione, in cui cancellerete in fretta e furia i vostri tweet e correrete a giurare e spergiurare che quel 20 maggio a Milano, a manifestare per una buona causa c'eravate pure voi..

domenica 14 maggio 2017

Il "Corriere": "Renzi non ha elaborato la sconfitta del Referendum"

Si può pensare naturalmente ciò che si vuole, ma dopo la vittoria delle Primarie per Matteo Renzi non sono cominciate rose e fiori, anzi. L'ennesimo caso Boschi riportato alla ribalta nel libro di Ferruccio De Bortoli, ex direttore del Corriere della Sera e giornalista con la schiena dritta, è un ulteriore colpo alla sua immagine. Il fondo della domenica dell'attuale direttore del quotidiano milanese, Fontana, fa il punto sulla situazione, sul conflittone di interessoni della Ministra, e ripercorre gli accadimenti per i più distratti.
Qui l'articolo

Luciano Fontana
Il rapporto tra informazione e potere politico sta vivendo in questi giorni un’altra puntata singolare. Si evocano complotti, complicità, ossessioni. Un calderone dove scompare il merito, si prendono strade laterali per non rispondere a interrogativi molto chiari e semplici.

Riassumiamo: nel libro, appena pubblicato, dell’ex direttore e attuale editorialista del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli si racconta di un intervento, nei giorni caldi della crisi di Banca Etruria, di Maria Elena Boschi presso UniCredit (e il suo amministratore delegato Federico Ghizzoni) per sollecitare il salvataggio dell’Istituto di credito toscano in bancarotta.

La ministra non ha alcun titolo per occuparsi della vicenda, anzi ha un ostacolo insormontabile: suo padre è il vicepresidente della banca, il conflitto d’interessi è evidente. Boschi replica di non aver mai fatto pressioni (in Parlamento aveva anche dichiarato in passato di non essersi mai occupata di Etruria) e annuncia querele, senza specificare nei confronti di chi. Federico Ghizzoni (adesso ex amministratore) si limita finora a un «no comment» (o a qualche breve dichiarazione), così come ambienti di UniCredit che affermano di aver esaminato il dossier e di aver scartato la possibilità di intervenire.

Ieri la vicenda ha avuto una nuova escalation con l’intervista al Foglio di Matteo Renzi. Anche qui si allarga a dismisura il campo, non si sta alla questione di merito e si sferra un attacco incredibile a de Bortoli: avrebbe un’ossessione contro l’ex premier che lo porta a scrivere cose false. Si mettono insieme un errore su Carrai, che de Bortoli ha onestamente riconosciuto, con il fastidio di Renzi per la presenza di un giornalista del Corriere nel suo albergo di vacanza a Forte dei Marmi. Un giornalista che stava solo facendo il suo mestiere e per questo venne minacciato dalla scorta presidenziale.

Si capisce bene che la vicenda delle banche toscane, con il colpo durissimo inferto da una gestione clientelare e dissennata a investitori e risparmiatori, sia una spina nel fianco del segretario Pd e della Boschi. È un capitolo oscuro, le inchieste e le intercettazioni dimostrano che intorno al salvataggio si mossero personaggi con un passato non raccomandabile. In quei giorni si raccontava, tra i soggetti istituzionali incaricati di trovare una soluzione alla crisi di Etruria, la seguente storia: a molte società di credito e a tanti investitori, anche stranieri, fu chiesto di intervenire per il salvataggio.

Accadeva sempre questo: esaminavano le carte, facevano alcuni incontri e poi si ritiravano dopo aver conosciuto i personaggi e gli interessi «strani» che pesavano in quel piccolo mondo. Invece di immaginare trame si dovrebbe rispondere a queste semplici questioni sulla vicenda. De Bortoli ha raccolto, durante la stesura del suo libro, un’informazione e l’ha pubblicata.

Così si comporta un giornalista. Il ministro ha reagito dicendo che non è vera ma il «no comment» di Ghizzoni e quello che ha aggiunto ieri al Corriere pesano. Non sono certo una smentita, anzi. Forse sarebbe meglio che anche il mondo bancario parlasse chiaramente. La trasparenza, dopo tutto quello che è accaduto in questi anni in cui le banche e le loro sofferenze sono state una zavorra per il Paese, dovrebbe essere un valore assoluto per tutti.

Il rapporto con l’informazione di Renzi e del suo mondo è, per usare un eufemismo, complicato. Un rapporto questo sì ossessionato dall’idea di nemici sempre in agguato. L’ex premier non ha ancora «elaborato» la sconfitta referendaria, è tornato sulla scena, dopo la vittoria delle primarie, come se nulla fosse accaduto. Parole d’ordine e atteggiamenti simili. E tanta insofferenza per le voci critiche e le notizie scomode. C’è un lavoro di ricostruzione e una sfida riformatrice su cui le forze politiche, tutte, dovrebbero concentrarsi. Macron insegna. Ma di Macron per il momento non se ne vedono in circolazione.

martedì 9 maggio 2017

A spasso per il sito nucleare di Saluggia (pochi i visitatori locali)

Come avranno saputo almeno i rari (come dice Greppi) seguaci di questo blog, il 6 e 7 maggio il sito nucleare di Saluggia è stato aperto al pubblico. "La Stampa" ha raccontato in prima pagina le cronache di queste giornate a modo loro storiche. Dall'articolo si deduce che i cittadini della zona erano una minoranza, e questo non è bello. Trapela anche il dubbio che davvero si costruisca altrove un deposito definitivo, come dice il leggendario Godio di Lega Ambiente. 
Con colpevole ritardo riporto qui la cronaca del mio quotidiano ("mio" nel senso che ci ho passato una vita, naturalmente) a firma di Elisabetta Pagani.

Davanti al sito nucleare di Saluggia staziona un’auto della polizia. «Ordine pubblico - spiegano gli agenti - nel caso di contestazioni». Non ce ne saranno. I quattro attivisti di Legambiente si fermano più in alto, all’incrocio con la provinciale, e distribuiscono volantini ai visitatori, che arrivano da tutto il Nord Italia per esplorare il più grande deposito nazionale di scorie radioattive, per la prima volta aperto al pubblico.  

È qui che si trova la maggioranza dei rifiuti nucleari d’Italia, in questo comprensorio vercellese racchiuso fra la Dora Baltea e due canali, vicino all’acquedotto del Monferrato. Un luogo unanimemente considerato inadatto ad ospitare questo tipo di materiale. In attesa, però, che il governo, già in ritardo, individui dove creare il deposito nazionale, qui si sta costruendo un impianto per metterli in sicurezza cementando quelli liquidi ed è quasi pronto un deposito per accoglierli. «Temporaneamente» assicura la Sogin, la società pubblica incaricata di smantellare l’impianto. I tempi? «Il decommissioning (smantellamento) - spiega Michele Gili, direttore dello stabilimento - dovrebbe finire fra il 2028 e il 2032, le procedure sono delicate e quindi lunghe. Poi va aggiunto un quinquennio per trasportare i materiali nel sito definitivo». Che gli ambientalisti temono, nonostante l’Ispra lo vieti, che possa diventare, o meglio rimanere, proprio Saluggia: «Se avessero voluto mettere in sicurezza i rifiuti - accusa Gian Piero Godio di Legambiente - avrebbero già iniziato la cementazione, altro che costruire il deposito». 

In questo fine settimana il sito, con altri 7 impianti e centrali italiane che dovranno essere smantellate, apre le sue porte con Open Gate, iniziativa con cui 3000 persone (altre 1700 sono in lista d’attesa) varcano porte a tenuta stagna e indossano camici e calzari per ascoltare la storia di questi stabilimenti e il loro processo di chiusura definitiva a 30 anni dal referendum. «Il nemico fa più paura se non lo conosci - racconta Concetta Profita, che con la famiglia ha appena concluso la visita guidata -. Sono caposala all’ospedale e al nucleare sono sempre stata contraria. Prima di venire ero titubante, ma quello che ho visto mi ha rassicurata». Non sono molte le famiglie del posto, come la sua. Tanti arrivano da altre città piemontesi, dalla Lombardia, dal Veneto. «Per interesse, curiosità» spiegano.  

I TOUR  
Si dividono fra i due tour previsti a Saluggia, dove sono andati esauriti i 320 posti disponibili. Il primo li accompagna, con un tecnico cicerone, nelle “zone controllate”, quelle dove fino al 1984 si svolgevano attività di ricerca sul riprocessamento del materiale irraggiato (e che sono tuttora funzionanti), tra sale di comando piene di pulsanti e celle schermate in cui bracci meccanici sollevano provette radioattive; il secondo porta nell’area esterna, dove si sta costruendo il Cemex, l’impianto che dovrà trasformare da liquidi a solidi i rifiuti radioattivi, e dove è ormai pronto il deposito («Se ne costruiremo altri? Non lo escludiamo, se servirà» dice Gili). «Questa due giorni di porte aperte la dovevano ai cittadini - spiega il presidente Sogin, Marco Ricotti - è giusto che possano toccare con mano quanto facciamo per gestire i rifiuti».  

«Confido nella scienza - osserva una visitatrice milanese, Cristina Mondin - mi sembra lavorino con professionalità». «Avremmo voluto visitare la centrale di Caorso ma i posti erano esauriti - commenta Ambrogio Oliva, di Saronno, con i figli Federico e Gabriele - così siamo venuti a vedere il deposito, per capire come funzionerà». «Mi interessa da sempre l’argomento - sorride il signor Renzo Fabbri di Torino mentre si accredita con la figlia Tiziana - e volevo imparare qualcosa». «D’altronde le scorie ormai le abbiamo - gli fa eco la signora Fabrizia Sartorio - sono il risultato del tipo di vita che abbiamo scelto. L’importante è che siano trattate in sicurezza».  

In un gruppo, un uomo chiede spiegazioni sul perché «si spendano tanti soldi per costruire un deposito che si dice sarà temporaneo, e che costringerà poi a spostare i rifiuti cementati», quando (e soprattutto se, sottolinea chi contesta il progetto), si individuerà il sito nazionale definitivo. «E’ l’unica possibilità - assicura Gili - e prima lo facciamo meglio è». 

martedì 2 maggio 2017

Spetegules del dopo primarie PD. L'Orlando è furioso



Non c'è elezione che non si porti dietro una scia chimica di retroscena e pettegolezzi. Figurarsi le primarie del PD appena chiuse. Il sito sulfureo di Roberto D'Agostino, Dagospia, ha collezionato un bel repertorio, ispirandosi ai retroscena apparsi sul Corriere della Sera.

Da Dagospia


Meno, molto meno di due milioni di votanti. Meno anche del milione e 848 mila dei dati ufficiali. E poi i dati: quella di Matteo Renzi è stato sì un’incoronazione, ma con una percentuale minore a quella diffusa ufficialmente. Nel day after delle primarie del Partito democratico c’è anche una coda polemica che potrebbe impensierire i piani alti del Nazareno. Di proteste formali per il momento non ce ne sono, ma dal fronte che ha sostenuto la candidatura di Andrea Orlando continua a trapelare nervosismo. Il motivo?  Il modo in cui i vertici renziani del partito hanno gestito il flusso e la comunicazione dei dati.

A raccontarlo è un retroscena pubblicato dal Corriere della Sera: per gli orlandiani l’affluenza sarebbe molto inferiore ai due milioni di elettori subito festeggiati dal fronte renziano come un successo dell’ex premier. Non ci sono numeri ufficiali ma per i sostenitori del guardasigilli alle primarie si sarebbero recati tra “il milione e 600 mila e il milione e 800 mila elettori”: e dunque una cifra inferiore anche al milione e 848.658, poi comunicato come dato ufficiale.

Per arrivare a quella cifra, fanno sapere sempre dal fronte orlandiano, ci sarebbe stato una sorta di “accordo tra le parti” a livello locale e quindi nazionale. Una sorta di controprova sarebbe rappresentata dall’affluenza che è colata a picco nelle regioni storicamente rosse. In Toscana, per esempio, si è superata di poco quota 210mila, mentre nel 2013 si era toccata la soglia dei 393mila. L’Emilia Romagna – dove il governatore Pd era stato eletto con la deprimente affluenza del 35% – fu una delle zone in cui Renzi aveva fatto il pieno già nel 2013 e il calo è del tutto analogo alla Toscana: si è passati dai 405mila elettori delle primarie 2013 ai 216mila di domenica scorsa.

Poi c’è la questione delle percentuali. Già nel tardo pomeriggio dell’uno maggio – e quindi 24 ore dopo la chiusura dei saggi – dal comitato Orlando avevano diffuso dati diversi rispetto a quelli ufficiali pubblicati nello stesso momento sul sito del partito: Renzi sarebbe al 68%, e non quindi al 70, il guardasigilli al 22,2%, e  non al 19,5,  Michele Emiliano al 9,8%, e non al 10,5. A confrontare i numeri, dunque, per i sostenitori del ministro ci sarebbe stato un “ritocchino al rialzo” nella percentuale riconosciuta al vecchio-nuovo segretario, mentre Orlando è stato inchiodato sotto la soglia psicologica del 20%.

“I dati comunicati dall’organizzazione Pd sono ufficiosi e non ufficiali. È infatti in corso in queste ore la verifica di tutti i verbali. Nell’attesa del responso della commissione congressuale e della certificazione del voto, siamo in grado di poter affermare che la mozione Orlando ha ottenuto un risultato superiore al 22 % e che il lavoro messo in campo in questi mesi, che ha visto il coinvolgimento di tanti elettori e militanti del Pd e del centrosinistra, continuerà con lo stesso spirito e lo stesso entusiasmo di questa campagna congressuale”, aveva dichiarato Marco Saracino, portavoce del Comitato del ministro della giustizia, già nel primo pomeriggio di ieri.

”Hanno voluto a tutti i costi che Renzi fosse sopra al 70 e per ottenere questo numero hanno tolto qualcosa agli altri candidati”, continuano a lamentarsi dal comitato di Orlando. Da dove non è ancora giunta alcuna protesta ufficiale. Domani, però, è prevista la riunione nazionale per il congresso.