Leggo su La Stampa di domenica 24 luglio che sui Comuni italiani sedi di impianti nucleari o depositi di materiale radioattivo arriverà una pioggia di milioni compensativi: 30 a Saluggia, e 15 a Trino, in seguito a una sentenza del tribunale civile che ha riconosciuto le somme indebitamente sottratte dallo Stato ai Comuni dal 2003; per risparmiare, si sa, sulle spalle della Comunità, lo Stato è maestro. E' solo un primo grado della sentenza, ma sono soldi spessi, con i quali si potranno fare (quando arriveranno, se le disposizioni lo consentiranno etc etc etc) grandi opere.
Abbiamo sempre detto che noi di Crescentino, da questi due Comuni a pochi km, abbiamo tutti gli svantaggi e nessun vantaggio, se non quei benedetti Fondi di Scanzano ottenuti grazie appunto agli abitanti di quel paese che fecero il diavolo a quattro.
Qui a Crescentino, il diavolo a quattro è stato fatto solo per i due impianti partiti durante la mia Amministrazione, con guai che continuano, con qualcuno non so quanto responsabile che dice: "Ci vorrebbe qualcuno con le palle per far chiudere la Mossi&Ghisolfi", e altri che sui miasmi misteriosi della CH4 (c'erano, poi dal 24 maggio 2014 giorno delle elezioni di Greppi son scomparsi, poi ogni tanto tornano) inanellano articoli nei quali si dice che l'Amministrazione non può fare niente, ormai il danno è fatto... insomma tutte cose mal informate o in mala fede ad uso del populismo più bieco e per continuare a tirarmi i calci negli stinchi. L'unica isola felice - nel senso di impianto a biomasse - che non puzza è quella del sindaco Greppi, che odora di acquasanta e di cui nessuno si è mai lamentato. Anche questo, se ci pensate, è molto stravagante in un paese lamentosissimo.
E' facile dire: chiudete di qui, chiudete di là. Cosa volete fare del nostro paese? Una cittadina turistica? Una mega zona residenziale per miliardari che assumano tutti i disoccupati che ciondolano per la città con l'aria incattivita? La Portofino della Bassa Padana?
Turismo? Per vedere che cosa? In che stato sono i portici e piazza Caretto che fanno letteralmente pena? Questo vogliono i proprietari degli edifici cadenti che non muovono un dito, vivere - e far vivere - in un paese che fa pena, con tutto l'amore che alcuni di noi possono continuare a nutrire per la propria Piccola Patria.
Ragioniamo. Anch'io avrei voluto un bel campo da golf, vicino alla Dora, sull'area lasciata libera dalla Teksid. Ma il destino di Crescentino è stato per sempre segnato da quell'insediamento, che regnante il prof Pedrale, nei primi '70 ha mutato la natura di un paese allora di 4 mila e qualcosa anime che viveva di agricoltura, portato qui famiglie da fuori, riconvertendosi in un compound industriale.
Per qualche decennio c'è stato un po' di benessere, ma il tessuto della città è per sempre cambiato, è via via anzi degenerato con la città che cade a pezzi, e ad offrirsi quando va bene ci sono impianti ormai di quel tipo (non sapete quante richieste di impianti di gassificazione ho respinto). Da questi insediamenti, Crescentino ha tratto quel poco vantaggio che poteva: posti di lavoro (non tanti ma meglio di niente), alcune compensazioni che hanno permesso di mettere a posto aree che gridavano vendetta. Ma l'unico vantaggio che poteva dare la CH4, di permettere alle zone vicine di riscaldarsi risparmiando parecchio danaro (come succede alle scuole) non è stato per esempio utilizzato (quando toccherà, tra l'altro, alle Elementari?).
Allora chi grida e si lamenta, prima induca il Comune ad esercitare il sacrosanto dovere di controllo (che in questi giorni di odori di M&G è scattato con grande diligenza, peraltro) e poi avanti con i progetti, le idee, le richieste di finanziamenti per nuove attività e start-up e quant'altro. Si tirino fuori le vernici, si dipingano gli edifici. Altrimenti, rassegniamoci a passeggiare sotto i nostri portici aleppiani.
lunedì 25 luglio 2016
giovedì 14 luglio 2016
L'addio a due amici Crescentinesi
A volte il destino ti colpisce ai fianchi all'improvviso, come un pugile scorretto.
E' così che due persone a me carissime per diversi motivi, e assai conosciute in città, se ne sono andate a pochi giorni di distanza l'una dall'altra, e le mie notti sono agitate e piene di ricordi. Come canta Battiato, "credimi, siamo niente".
Renato Pironio, 70 anni tondi quest'anno, non era uno dai molti amici. Carattere introverso, poche parole, larghi sorrisi improvvisi. Bisognava conoscerlo bene, per cogliere il suo senso sottile dell'umorismo.
Io ci ho passato insieme l'infanzia alla stazione, perché lui era il figlio del capostazione, il friulano Eitel Pironio, e io la Marinella del Caffè della Stazione. Giocavamo insieme, eravamo bambini alla vigilia dell'adolescenza. Ricordo vagamente che sapeva il dialetto friulano e lo parlava, ai tempi. I miei rapporti sono stati più stretti con la sua sorellina minore Enrica, che è un po' anche sorellina mia, abbiamo continuato a tenerci in contatto anche durante il resto della sua vita a Bruxelles, dove lavorava all'Unione Europea. Ma Renato, era anche lui un mio fratello, noi figli unici ci cerchiamo sempre dei fratelli elettivi., anche se poi li vediamo poco.
Invece di "Caio" Massa del Vichingo, sapete tutto anche più di me. Non mi ricordo di averlo visto in borghese, sempre tutto in bianco e un po' infarinato nella cucina della pizzeria/ristorante che è uno dei punti di incontro della nostra città. Era stufo, voleva andare in pensione, ma non smetteva mai di lavorare come un mulo, un senso del dovere raro. Andavo a salutarlo in cucina, e quando aveva tempo si metteva subito a discutere delle vicende del paese, che seguiva con grande attenzione.
Credo non avesse ancora 60 anni, e di notte mi chiedo cosa farà Grazia, sua moglie, senza di lui. Erano simbiotici fin da ragazzi, una vita trascorsa giorno e notte insieme. Lavorando come dei matti, avevano tirato su Gabriele e Martina, dei quali tutti sanno. Persone per bene.
Anche per Caio, come per Renato, una morte veloce e assurda.
"Credimi, siamo niente"
E' così che due persone a me carissime per diversi motivi, e assai conosciute in città, se ne sono andate a pochi giorni di distanza l'una dall'altra, e le mie notti sono agitate e piene di ricordi. Come canta Battiato, "credimi, siamo niente".
Renato Pironio, 70 anni tondi quest'anno, non era uno dai molti amici. Carattere introverso, poche parole, larghi sorrisi improvvisi. Bisognava conoscerlo bene, per cogliere il suo senso sottile dell'umorismo.
Io ci ho passato insieme l'infanzia alla stazione, perché lui era il figlio del capostazione, il friulano Eitel Pironio, e io la Marinella del Caffè della Stazione. Giocavamo insieme, eravamo bambini alla vigilia dell'adolescenza. Ricordo vagamente che sapeva il dialetto friulano e lo parlava, ai tempi. I miei rapporti sono stati più stretti con la sua sorellina minore Enrica, che è un po' anche sorellina mia, abbiamo continuato a tenerci in contatto anche durante il resto della sua vita a Bruxelles, dove lavorava all'Unione Europea. Ma Renato, era anche lui un mio fratello, noi figli unici ci cerchiamo sempre dei fratelli elettivi., anche se poi li vediamo poco.
Invece di "Caio" Massa del Vichingo, sapete tutto anche più di me. Non mi ricordo di averlo visto in borghese, sempre tutto in bianco e un po' infarinato nella cucina della pizzeria/ristorante che è uno dei punti di incontro della nostra città. Era stufo, voleva andare in pensione, ma non smetteva mai di lavorare come un mulo, un senso del dovere raro. Andavo a salutarlo in cucina, e quando aveva tempo si metteva subito a discutere delle vicende del paese, che seguiva con grande attenzione.
Credo non avesse ancora 60 anni, e di notte mi chiedo cosa farà Grazia, sua moglie, senza di lui. Erano simbiotici fin da ragazzi, una vita trascorsa giorno e notte insieme. Lavorando come dei matti, avevano tirato su Gabriele e Martina, dei quali tutti sanno. Persone per bene.
Anche per Caio, come per Renato, una morte veloce e assurda.
"Credimi, siamo niente"
Iscriviti a:
Post (Atom)