Per via della giornata festiva, le celebrazioni del 25 aprile si svolgeranno insieme con quelle del Primo Maggio. Vi aspettiamo NON IN PIAZZA CARETTO COME AVEVO SCRITTO (DISTRATTA!), MA AL MONUMENTO DEI CADUTI ALLE 10,15 DEL MATTINO DEL PRIMO MAGGIO.
Intanto un'ottima riflessione sull'Anniversario della Liberazione si può trovare sul Corriere della Sera di oggi, scritta da Claudio Magris.
Vi ripropongo l'articolo di fondo di Magris, buona Pasquetta a tutti.
Non è stato solo il Terzo Reich a proclamarsi e a credersi destinato a durare mille anni, anche se è durato solo dodici, meno del mio scaldabagno. Ogni potere, soprattutto ma non solo quello totalitario, ogni civiltà, ogni sistema di valori e di costumi si vogliono e si ritengono definitivi; siamo inclini a scambiare il presente, l’assetto delle cose che ci circondano, per l’eterno, qualcosa che non può cambiare. In questo senso, siamo quasi tutti ciechi conservatori, incapaci di credere che il nostro mondo— la politica, le gerarchie sociali, gli usi, le regole — possa mutare.
Se nell’ottobre del 1989 qualcuno ci avesse detto che il muro di Berlino sarebbe presto caduto, lo avremmo preso per un ingenuo sognatore. Forse chi ha il senso religioso dell’eterno è più protetto dalla supina adorazione idolatrica di quel momento di tempo in cui vive e delle momentanee ed effimere forze che in quel momento appaiono vittoriose e insostituibili. Le cose invece cambiano, i muri cadono, ma l’idolatria del momento, che impone di essere «al passo dei tempi» , permane, profondamente radicata nel cuore e nella mente. Caduto il muro di Berlino che pareva eterno e con esso tutto il sistema comunista, uno studioso si è affannato a enunciare, con una celebre frase poco intelligente, che «la storia è finita» e dunque che il mondo sorto dal crollo del comunismo era quello definitivo, destinato a durare — con il suo meccanismo politico, le sue strutture economiche, il suo stile di vita — per sempre. Semmai è vero il contrario; quel muro congelava o cercava di congelare la storia, che invece oggi è vertiginosamente instabile, imprevedibile e mutevole. Sono soprattutto le dittature — quelle «molli» che soggiogano con strumenti economici, mediatici e culturali, e ancor più quelle «dure» che s’impongono direttamente con la forza bruta — che si presentano come l’unico sistema, l’unica realtà possibile. Le dittature invece cadono e il 25 aprile ricorda la caduta di quella fascista in Italia. C’è poco da aggiungere a quanto è stato detto tante volte sull’antifascismo e sulla Resistenza, sull’imperituro significato di quest’ultima quale liberazione nazionale, sulle sue contraddizioni, sulle sue diverse e contrastanti anime, sui suoi eroismi e sui misfatti compiuti in suo nome. Il 25 aprile simboleggia vent’anni di un’altra Italia, differente da quella del regime fascista; una resistenza che non è solo quella partigiana, ma anche quella di coloro che non si sono piegati quando un’altra Italia sembrava impossibile; di coloro che si sono opposti nettamente e clamorosamente, nella lotta clandestina, ma anche di chi, più modestamente, ha cercato di salvare il salvabile di dignità e ragionevolezza, senza eroismi ma con la capacità di non lasciarsi abbagliare dall’ «aria del tempo» , di respingere la tentazione di «marciare con la Storia» , di preservare quell’intelligenza critica che non si lascia sedurre dai belati del gregge, neanche quando sembrano ruggiti di leoni. Ogni resistenza ha una componente pasquale, di resurrezione; è un risorgere dalla morte, da quella falsa vita che si spaccia per immutabile e definitiva ossia finita e dunque morta. Anche oggi, dinanzi al dilagare di confusione, volgarità, prepotenza, corruzione, sconcezza che sommerge il Bel Paese come liquami che salgano dalle fognature, è forte la tentazione di arrendersi, di lasciarsi andare, di credere che l’andazzo disgustoso sia uno stadio ultimo, che una vera mutazione antropologica abbia creato un nuovo tipo d’uomo, un non-cittadino, e che questa specie, nella selezione darwiniana, sia fatalmente dominante.
L’indifferenza che mette in soffitta la Resistenza vera e propria e l’attentato alla Costituzione, che da essa è nata e che è la spina dorsale dell’Italia civile, sono un sintomo fra i tanti di questa involuzione morale. Ma proprio quella data insegna a non scoraggiarsi; ricorda come credere che tutto sia perduto e che non si possa più reagire sia una tentazione, stupida come lo sono in genere le tentazioni. C’è un’altra Italia possibile, rispetto a quella che oggi subiamo. Non è il caso di fare inchini al mondo così com’è e come esso pretende, anche perché, se proprio si è costretti a farlo, ci si può inchinare come Bertoldo, che si piegava davanti ai potenti, ma voltandosi dall’altra parte.
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8 commenti:
non solo indifferenza ma anche divieti, a Carmagnola è vietato suonare bella ciao alle manifestazioni organizzate dal comune , il sindaco è del PDL.
E' una vergogna,
Mauro Novo
Una vergogna sì, caro Mauro. Non ho parole.
E allora mettiamole le parole MV
Una mattina mi son svegliato,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
Una mattina mi son svegliato
e ho trovato l'invasor.
O partigiano, portami via,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
O partigiano, portami via,
ché mi sento di morir.
E se io muoio da partigiano,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E se io muoio da partigiano,
tu mi devi seppellir.
Mi seppellirai lassù in montagna,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
Mi seppellirai lassù in montagna
all'ombra di un bel fior.
E le genti che passeranno
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E le genti che passeranno
Ti diranno «Che bel fior!»
È questo il fiore del partigiano,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
È questo il fiore del partigiano
morto per la libertà!
S.J.
l'antidoto all' indifferenza sarebbe stato festeggiare oggi , nella data giusta , il 25 aprile.
In tantissimi posti è stato fatto cosi'.
Anche dove le teste bislacche hanno proibito "bella ciao"
Neanche Greppi aveva posdatato la festa , che matematicamente è sempre 6 giorni prima del primo maggio.
Si vede che non c'è più gente di sinistra al governo cittadino , se poi l'unico ad avere bella ciao nella penna è il compagno S.J. è detto tutto....
Ma anche il Primo Maggio è giorno festivo, dovevano spostare il 25 Aprile a data da destinarsi, ma ormai le feste di sinistra le vendono due al prezzo di una.
Sembra che per festeggiare abbiano risparmiato anche sui fuochi d'artificio, la sinistra bombarola userà per l'occasione i missili intelligenti di LaRussa destinati alla Libia. (ho detto intelligenti?)
Non è questo lo spirito del 25 Aprile ragazzi...
S.J.
Alle Officine Grandi Riparazioni
ci sono due mostre interessanti.
"Fare gli italiani"
"Stazione futuro - Qui si rifà l'Italia"
In questi momenti di grande confusione, una mezza giornata di riflessione, trovo ci stia bene.
Un modo diverso per ricordare tutti
Una mostra? Pensavo che aggiustassero i Tornado di ritorno dalla Libia.
“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.
Antonio Gramsci
11 febbraio 1917
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