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Il “partito di Renzi” è diventato l’araba fenice della politica italiana: che ci sia, ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. Ma del suo progetto l’ex presidente del Consiglio parla eccome nelle tante chiacchierate private al massimo livello che intreccia da diverse settimane a questa parte. E in quelle occasioni la “cosa renziana” sembra prendere corpo assai più di quanto non appaia in pubblico. Una decina di giorni fa Matteo Renzi era a Bruxelles e in un giro di incontri, l’ex premier ha parlato anche con il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. E al suo interlocutore Renzi ha confidato quel che ha in testa. Facendo capire di aver deciso lo showdown, ma senza chiarire quando scioglierà la riserva, Renzi ha però spiegato il senso dell’operazione: «Dicono che io voglia fare un partito con Berlusconi, ma è vero l’esatto contrario: io punto all’elettorato di Berlusconi e non solo a quello».
Juncker, raccontando il colloquio nei giorni successivi ai principali referenti del Ppe, ha preso atto con soddisfazione del progetto di Renzi, perché potrebbe incastrarsi dentro un mosaico più largo. L’ex premier italiano (che a Bruxelles si è visto anche con la liberale olandese Margrete Vestager e con il vice presidente della Commissione europea, il socialista olandese Frans Timmermans) sa bene che dopo le elezioni Europee di fine maggio, il Ppe – ultimo partito-guida dell’Ue – sarà chiamato ad un bivio.
O allargare la maggioranza nell’Europarlamento, oltreché ai socialisti, anche ai macroniani, ai Verdi e alle formazioni di frontiera come gli spagnoli di Ciudadanos; oppure andare all’accordo con i sovranisti. Due opzioni con capofila diversi e contrapposti: i cristiano-sociali come Juncker e Merkel tifano per la soluzione “maggioranza allargata”, mentre gli austro-ungarici – Sebastian Kurz e Viktor Orban – puntano all’intesa con Salvini. E Renzi, in network con Emmanuel Macron e con lo spagnolo Albert Rivera di Ciudadanos, in quella prospettiva sa di poter avere un ruolo.
Ma alla fine il cotè italiano resta nettamente prevalente. E da questo punto di vista il quadro si è molto appannato negli ultimi giorni e la prospettiva del “partito” a breve, si è di nuovo allontanata. Con un’altalena di propositi che ha allarmato anche gli amici di Renzi. Le docce scozzesi delle ultime due settimane sono eloquenti.
Nei primi cinque giorni di dicembre, davanti al forfait di Minniti, Renzi aveva effettivamente deciso di rompere gli indugi e di lanciare il suo movimento prima delle Europee. Ma il polemico e clamoroso ripensamento dell’ex ministro dell’Interno e lo sconcerto-panico tra le fila renziane, per qualche ora avevano indotto Renzi a cavalcare la suggestione di presentarsi lui stesso alle Primarie contro Nicola Zingaretti.
Ma il suo ennesimo ripensamento, meglio lasciar perdere, ha provocato in poche ore una frana tra i parlamentari renziani: ben 85 parlamentari, un tempo vicini all’ex premier, sono passati con Maurizio Martina, compresi il presidente dei senatori Andrea Marcucci e Luca Lotti, da anni braccio destro dell’ex premier.
I non-allineati sono rimasti pochissimi: Maria Elena Boschi e Lucio Marattin (protagonisti di alcune iniziative politiche in tandem), Pier Carlo Padoan, Michele Anzaldi, Marco Minniti. Non appena la frana si è materializzata, Renzi ha detto in pubblico: «Io al congresso non voto per nessuno, sono fuori dai giochi, sono un parlamentare dell’opposizione».
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