Molti ricorderanno l'annosa questione del "lei" e del "tu" che l'anno scorso finì fin dentro "La vita in diretta". Ho letto con molto gusto quest'analisi di Umberto Eco su La Repubblica, ripresa qui da Dagospia.com
Anche se non vi interessa quest'argomento in sé, ne consiglio la lettura, perché documenta anche l'estrema confusione storica e l'ignoranza che domina il nostro tempo.
(poi, di suo, D'Agostino ci aggiunge anche la panza di Eco)
BON TON BY ECO – ‘’DA DANTE A MANZONI, PER SECOLI ABBIAMO USATO IL “LEI” E IL “VOI”. OGGI NON PIÙ: VAI CON IL “TU” - IN CITTÀ IL COMMESSO TI DA DEL LEI SE HAI I CAPELLI BIANCHI, E POSSIBILMENTE LA CRAVATTA UNA FINTA FAMILIARITÀ CHE RISCHIA DI TRASFORMARSI IN INSULTO’’
Durante una trasmissione di Giletti, L’Arena, a Matteo Salvini che le si era rivolto con un “permette signorina?”, Pina Picierno rispondeva: “Signorina lo dica a sua sorella!”[...]. Il problema del Tu generalizzato non ha a che fare con la grammatica ma con la perdita generazionale di ogni memoria storica…
Umberto Eco per “la Repubblica”
La lingua italiana ha sempre usato il Tu, il Lei (al plurale Loro) e il Voi. Voi sapete che la lingua inglese (reso arcaico il poetico e biblico Thou) usa solo il You. Però contrariamente a quel che si pensa lo You serve come equivalente del Tu o del Voi a seconda che si chiami qualcuno con il nome proprio, per cui “You John” equivale a “Tu, John” (e si dice che gli interlocutori sono in “first name terms”), oppure il You è seguito da Mister o Madame o titolo equivalente, per cui “You Mister Smith” significa “Lei, signor Smith”.
Il francese non ha Lei bensì solo il Tu e Vous, ma usa il Tu meno di noi, i francesi “vouvoyent” più che non “tutoyent”, e anche persone che sono in rapporti di gran confidenza (persino amanti) possono usare il Vous. L’italiano (e mi attengo alla Grammatica italiana di Luca Serianni, Utet) distingue tra i pronomi personali i pronomi allocutivi reverenziali o di cortesia, che sono Ella o Lei o Voi.
Ma la storia di questi pronomi è molto complessa. Nella Roma antica si usava solo il Tu, ma in epoca imperiale appare un Vos che permane per tutto il Medioevo (per esempio quando ci si rivolge a un abate) e nella Divina Commedia appare il Voi quando si vuole esprimere grande rispetto (“Siete voi, qui, ser Brunetto?”). Il Lei si diffonderà solo nel Rinascimento nell’uso cancelleresco e sotto influenza spagnola.
Nelle nostre campagne si usava il Voi tra coniugi (“Vui, Pautass”, diceva la moglie al marito) e l’alternanza tra Tu, Lei e Voi è singolare nei Promessi sposi. Si danno del Voi Agnese e Perpetua, Renzo e Lucia, Il Cardinale e l’Innominato, ma in casi di gran rispetto come tra Conte Zio e Padre Provinciale si usa il Lei.
Il Tu viene usato tra Renzo e Bortolo o Tonio, vecchi amici. Agnese da del Tu a Lucia che risponde alla mamma con il Voi. Don Abbondio da del Voi ad Agnese che risponde per rispetto con il Lei. Il dialogo tra Fra Cristoforo e don Rodrigo inizia col Lei, ma quando il frate s’indigna passa al Voi (“la vostra protezione…”) e per contraccolpo Rodrigo passa al Tu, per disprezzo (“come parli, frate?”).
Una volta per rispetto, anche in un’aula universitaria o in una conferenza, si usava il plurale Loro (“come Loro m’insegnano…”) ormai desueto e sostituito dal Voi. Usato solo ormai in senso ironico è l’arcaico Lorsignori. Ormai dire ”come lorsignori m’insegnano” equivale a suggerire che gli interlocutori siano una massa d’imbecilli.
Il regime fascista aveva giudicato il Lei capitalista e plutocratico e aveva imposto il Voi. Il Voi veniva usato nell’esercito, e sembrava più virile e guerresco, ma corrispondeva allo You inglese e al Vous francese, e dunque era pronome tipico dei nemici, mentre il Lei era di origine spagnolesca e dunque franchista.
Forse il legislatore fascista poco sapeva di altre lingue e si era arrivati a sostituire il titolo di una rivista femminile, Lei, con Annabella , senza accorgersi che il Lei di quel titolo non era pronome personale di cortesia bensì l’indicazione che la rivista era dedicata alle donne, a lei e non a lui.
Bambini e ragazzi si davano del Tu, anche all’università, sino a quando non entravano nel mondo del lavoro. A quel punto Lei a tutti, salvo ai colleghi stretti (ma mio padre ha passato quarant’anni nella stessa azienda e tra colleghi si sono sempre dati del Lei). Per un neolaureato, fresco fresco di toga virile, dare del Lei agli altri era un modo non solo di ottenere il Lei in risposta, ma possibilmente anche il Dottor.
Da tempo invece, a un giovanotto sui quarant’anni che entra in un negozio, il commesso o la commessa della stessa età apparente, cominciano a dare del Tu. In città il commesso ti da evidentemente del Lei se hai i capelli bianchi, e possibilmente la cravatta, ma in campagna è peggio: più inclini ad assumere costumi televisivi senza saperli mediare con una tradizione precedente, in un emporio mi sono visto (io allora quasi ottantenne e con barba bianca) trattato col Tu da una sedicenne col piercing al naso (che non aveva probabilmente mai conosciuto altro pronome personale), la quale è entrata gradatamente in crisi solo quando io ho interagito con espressioni quali “gentile signorina, come Ella mi dice...” Deve aver creduto che provenissi da Elisa di Rivombrosa , tanto mondo reale e mondo virtuale si erano fusi ai suoi occhi, e ha terminato il rapporto con un “buona giornata” invece di “ciao”, come dicono gli albanesi [...].
Tra parentesi, per ragioni forse di politically correct femminista tra i giovani sono scomparse le signorine. Non si sente più dire con tono piccato “prego, signora, non signorina” e nemmeno “scusi, signorina”. A una giovane si dice “ehi tu!” Durante una trasmissione di Giletti, L’Arena, a Matteo Salvini che le si era rivolto con un “permette signorina?”, Pina Picierno rispondeva: “Signorina lo dica a sua sorella!”[...]. Il problema del Tu generalizzato non ha a che fare con la grammatica ma con la perdita generazionale di ogni memoria storica e i due problemi sono strettamente legati [...]. Vi parlo ora di un fatto che è stato ripreso da Youtube, subito visitato da 800.000 persone, mentre la notizia tracimava su vari quotidiani.
La faccenda riguardava L’Eredità, la trasmissione di quiz condotta da Carlo Conti, in cui vengono invitati concorrenti certamente scelti in base alla bella presenza, alla naturale simpatia o ad alcune caratteristiche curiose, ma anche selezionandoli in base a certe competenze nozionistiche, per evitare di mettere in scena individui che se ne stiano pensosamente a bocca aperta di fronte alla sfida se Garibaldi fosse un ciclista, un esploratore, un condottiero o l’inventore dell’acqua calda.
Ora, in una serata televisiva Conti aveva proposto a quattro concorrenti il quesito “quando era stato nominato cancelliere Hitler” lasciando la scelta tra 1933, 1948, 1964 e 1979. Dovevano rispondere tale Ilaria, giovanissima e belloccia, Matteo, aitante con cranio rasato e catenina al collo, età presumibile sui trent’anni, Tiziana, giovane donna avvenente, anch’essa apparentemente sulla trentina, e una quarta concorrente di cui mi è sfuggito il nome, occhiali e aria da prima della classe.
Siccome dovrebbe essere noto che Hitler muore alla fine della seconda guerra mondiale, la risposta (anche per chi non conosceva per filo e per segno la storia dell’ascesa di Hitler al potere) non poteva essere che 1933, visto che altre date erano troppo tarde. Invece Ilaria risponde 1948, Matteo 1964, Tiziana azzarda 1979, e solo la quarta concorrente è costretta a scegliere il 1933 (ostentando incertezza, non si capisce se per ironia o per stupore).
A un quiz successivo viene domandato quando Mussolini riceva Ezra Pound, e la scelta è tra 1933, 1948, 1964, 1979. Nessuno (nemmeno un membro di CasaPound) è obbligato a sapere chi fosse Ezra Pound e io non sapevo in che anno Mussolini l’avesse incontrato, ma era ovvio che — il cadavere di Mussolini essendo stato appeso a Piazzale Loreto nel 1945 — la sola data possibile era 1933 (anche se mi ero stupito per la tempestività con cui il dittatore si teneva al corrente degli sviluppi della poesia anglosassone).
Stupore: la bella Ilaria, richiedendo indulgenza con un tenero sorriso, azzardava 1964. Ovvio sbigottimento di Conti e — a dire la verità — di tanti che reagiscono alla notizia di Youtube, ma il problema rimane, ed è che per quei quattro soggetti tra i venti e trent’anni — che non è illecito considerare rappresentativi di una categoria — le quattro date proposte, tutte evidentemente anteriori a quelle della loro nascita, si appiattivano per loro in una sorta di generico passato, e forse sarebbero caduti nella trappola anche se tra le soluzioni ci fosse stato il 1492. Sempre all’ Eredità una concorrente doveva stabilire se una certa persona era attrice o cantante, e aveva risposto sempre bene, ma si era arenata (e sbagliata) su Gina Lollobrigida e Monica Vitti. Troppo remote, come Lida Borelli e Francesca Bertini [...].
Vi chiederete perché lego il problema dell’invadenza del Tu alla memoria e cioè alla conoscenza culturale in generale. Mi spiego. Ho sperimentato con studenti stranieri, anche bravissimi, in visita all’Italia con l’Erasmus, che dopo avere avuto una conversazione nel mio ufficio, nel corso della quale mi chiamavano Professore, poi si accomiatavano dicendo Ciao.
Mi è parso giusto spiegargli che da noi si dice Ciao agli amici a cui si da del Tu, ma a coloro a cui si da del Lei si dice Buongiorno, Arrivederci e cose del genere. Ne erano rimasti stupiti perché ormai all’estero si dice Ciao così come si dice Cincin ai brindisi. Se è difficile spiegare certe cose a uno studente Erasmus immaginate cosa accade con un extra-comunitario.
Essi usano il Tu con tutti, anche quando se la cavano abbastanza con l’italiano senza usare i verbi all’infinito. Nessuno si prende cura degli extracomunitari appena arrivati per insegnare loro a usare correttamente il Tu e il Lei, anche se usando indistintamente il Tu essi si qualificano subito come linguisticamente e culturalmente limitati, impongono a noi di trattarli egualmente con il Tu (difficile dire Ella a un nero che tenta di venderti un parapioggia) evocando il ricordo del terribile “zi badrone”. Ecco come pertanto i pronomi d’allocuzione hanno a che fare con l’apprendimento e la memoria culturale.
4 commenti:
Considerata la situazione globale, dove ormai i benpensanti illuminati più parlano e più danno aria ai populisti ottenendo l'effetto contrario, ha fatto un bello spot per Salvini.
Esteta
Cosa c'entra Salvini?
Ma lei è un esteta? Ne è sicuro? Oppure, più semplicemente, le dà fastidio che venga raccontata l'ignoranza crassa di un popolo appeso a certa tv e senza una lettura mai?
Cara dottoressa Venegoni, penso con malinconia all'occasione persa che c'è stata, con quell'episodio, di capire e progredire e di imparare qualcosa, anche in Comune. Ho sentito dire che i dipendenti erano tutt'altro che entusiasti della sua indicazione, senza starsi a chiedere se lei aveva ragione o torto. Ma anche fra i suoi collaboratori non mi pare che ci fosse grande entusiasmo. Quanto a Mosca, fa ridere oggi che lui avvocato abbia cavalcato la causa dell'ignoranza e della confusione culturale come scrive Eco. Ma è anche vero che è rimasto fedele a se stesso, fino al recente episodio del carrello.
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