17/03/2016
Non è da oggi che su questo blog si seguono (quasi) minuziosamente le vicende del PD e della sua lotta interna. Vedo che il turmoil appassiona un numero crescente di persone, che magari hanno cosi' occasione di arricchire le proprie idee personali, vista ormai la carenza di lettura dei quotidiani.
Questa di ieri su La Stampa è un'intervista del solito bravissimo Barenghi, pure lui appassionato delle vicende della sinistra del PD, a Bersani: si va un po' piu' avanti nella sua strategia, ed è assai interessante.
Una cosa sola mi sento di dire al buon bersani: non è affatto improbabile, come dice lui nell'ultima riga, che due che divorziano il giorno dopo non vadano a letto insieme. Fior di amiche e amici assai rispettabili che sono passati da quella dolorosa decisione, mi hanno raccontato il contrario. E magari la metafora diventa ancora piu' inquietante, se cosi' e'.
Buon weekend
Marinella
Riccardo barenghi
ROMA
Se incontri Pier Luigi Bersani e gli chiedi cosa pensa di un’eventuale scissione della sua minoranza dal Pd di Renzi, l’ex segretario insiste nel dire «che noi dobbiamo restare lì, quel Partito è il mio Partito. Certo - aggiunge scherzando ma non troppo - se quelli lì prendono il mitra allora ci toccherà andare in montagna. Altro che scissione...».
Il richiamo alla Resistenza per quanto sia una battuta, spiega meglio di qualsiasi analisi politica a che punto siano arrivati i rapporti tra la sinistra del Pd e «quelli lì» come li chiama Bersani. Ovvero il gruppo dirigente del Partito, ovvero il cosiddetto Giglio magico, ovvero Matteo Renzi. Rapporti ormai ridotti al lumicino come si evince leggendo i giornali, guardando le televisioni (l’altra sera intervistato a «Di martedì» l’ex leader del Pd si tratteneva a stento quando Giovanni Floris lo provocava su Renzi), o ascoltando gli interventi pubblici dei vari protagonisti del dibattito, vedi il premier alla scuola di formazione politica per i giovani quando ha accusato l’ex gruppo dirigente di aver ucciso l’Ulivo. E questa è un’accusa che Bersani proprio non manda giù, infatti se qualcuno gliela ricorda la sua espressione normalmente serena diventa rabbiosa.
In ogni caso per i mesi a seguire appare improbabile che la sinistra del Pd abbandoni il Partito, si avvicinano le amministrative e dopo l’estate arriva il referendum sulla riforma del Senato. Ecco, il referendum: che farà Bersani, come voterà? «Abbiamo votato sì in Parlamento e quindi voteremo sì. A condizione però che vengano accolte alcune nostre richieste, per esempio che la Corte Costituzionale non possa essere eletta da un solo partito. E poi che venga varata prima del referendum la legge elettorale sui cosiddetti senatori regionali. Noi abbiamo presentato una proposta, vogliamo che vengano scelti direttamente dai cittadini».
E queste due condizioni, chiamiamole tecniche, basterebbero per mettervi in linea con Renzi? «Beh - risponde Bersani - è chiaro che esistono problemi di natura strettamente politica. Noi pretendiamo che da qui al referendum si chiarisca la gestione di questa vicenda. Mi spiego: non vogliamo che sia un plebiscito, pro o contro Renzi. E come ha proposto Gianni Cuperlo in un suo documento, pensiamo che chi vota no abbia completa legittimità a restare nel Pd, su questo pretendiamo un chiarimento politico. E inoltre non vogliamo che il referendum diventi un viatico per una nuova maggioranza politica con Alfano e Verdini. Per noi sarebbe inaccettabile».
Nella sua recente intervista ad Aldo Cazzullo sul «Corriere della sera» Massimo D’Alema ha usato toni e contenuti più radicali di lei. «Con D’Alema siamo d’accordo nell’analisi, ma io non voglio rinunciare all’idea che il Pd sia il centrosinistra italiano. Insomma non lo voglio regalare a Renzi». Ma intanto Renzi sta lì e comanda lui. «Bisogna vedere fino a quando, io non credo che funzionerà a lungo. Né per l’italia e neanche sul piano politico. Finché la destra non si riorganizza, per Renzi è facile sostituire i voti che perde a sinistra con quelli degli (ex) avversari. Ma una volta che quelli si rimettono insieme allora il quadro cambia». Nel frattempo, voi che fate: restare alla finestra? «Macché. Noi dobbiamo organizzarci meglio e darci libertà di movimento. Dobbiamo combattere e poi vedremo che succede. È evidente che da soli non riusciremo a ribaltare la situazione, ma intanto dobbiamo esserci e alzare la voce».
Fuori dal recinto dei democratici qualcosa si muove, alcuni suoi ex compagni sono impegnati con Sel nella gestazione di un nuovo partito di sinistra: interessa l’oggetto? «Con alcuni di loro siamo d’accordo sull’idea del centrosinistra di stampo ulivista, ma altri invece pensano che il Pd sia ormai perduto. Ma senza il Pd dove cavolo andiamo?». C’è anche chi come Franco Monaco, ulivista doc, propone di separarsi da Renzi per poi eventualmente allearsi alle elezioni... «Lo so lo so, ma io gli ho risposto che se due divorziano è improbabile che il giorno dopo vadano a letto insieme».
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