Sul Corriere della Sera dell'altro giorno, è comparso un articolo a firma Valerio Valentini, nel quale si ipotizza un futuro impegno del Presidente attuale del Piemonte nella corsa alla segreteria del PD, attualmente in mano a Renzi.
Ecco l'articolo
Sul suo ruolo, persino i suoi fan si mostrano incerti. «Sindaco», «presidente», «eccellenza». Sono questi gli epiteti con cui, nella sua camminata mattutina tra i mercati di Santa e Corso Racconigi, Sergio Chiamparino si sente acclamare da decine di torinesi che lo mostrano a dito («È lui!»). Sindaco, lo è stato. «Il sindaco vecchio», precisa lui, schermendosi di fronte alle lodi di un passante che quasi gli getta le braccia al collo: «Chiamparino, da quando non sei più a Palazzo civico ho strappato la tessera del Pd».
Presidente lo è tutt’ora: ma non è un mistero che nel suo ruolo di governatore del Piemonte non si diverta poi tanto. E questo apre degli interrogativi sul suo futuro. Che non sarà, però, in abiti talari: il che spiega perché, di fronte ad un fruttivendolo che gli offre due arance e lo chiama «eccellenza», Chiamparino alzi le mani. È il primo giorno di impegno in strada, per il governatore, in vista del 4 marzo. I vertici del partito locale gli hanno chiesto un impegno speciale, per queste settimane conclusive di campagna elettorale: e lui alla fine non si è sottratto.
Sorride, stringe mani. Certo, il malcontento non manca, qualche insulto arriva. Ma a fine mattinata, il bilancio è senz’altro positivo. Un tassista, ora in pensione, si fa largo per bussare alla spalle del presidente: «Lei non sa quante volte l’ho scarrozzata, quando era sindaco». C’è gente che strappa i volantini distribuiti dai militanti del Pd; ma poi, cinquanta metri dopo, incontra «il Chiampa» e gli fa i complimenti. «Quasi come se fosse percepito al di sopra delle parti», si lascia sfuggire un suo stretto collaboratore. E non è solo un’impressione. Perché in realtà Chiamparino, a giudizio di molti, sta preparando il suo gran ritorno. Ma da padre nobile. E non a caso parla da federatore, in questi giorni.
Incontra prima la leader radicale Emma Bonino – è successo lunedì – e poi il ministro della Salute Beatrice Lorenzin (martedì, al Circolo della Stampa): quasi che il compito di tenere unita la coalizione, sotto la Mole, se lo sia assunto lui. Parla degli scenari del dopo-voto: «Se c’è stallo meglio tornare alle urne, altroché larghe intese», spiega. «Prima però bisogna cambiare la legge elettorale, introducendo il voto disgiunto», aggiunge, ammiccando a chi auspica la ricomposizione di un centrosinistra largo. E non solo: «C’è bisogno che i partiti facciano una profonda riflessione interna, rivedendo la loro proposta e il loro posizionamento», prosegue. «Vuol dire che sta lavorando contro Renzi», analizza un parlamentare torinese del Pd, quando lo ascolta.
«Si sta ritagliando un ruolo da traghettatore per il dopo voto», confermano i suoi colleghi. In tanti, in effetti, a Torino e non solo, glielo stanno suggerendo: «Se il Pd scende sotto quota 23 per cento, sei tu la persona giusta per il dopo-Renzi». Lui, sornione, nicchia: «Pensiamo piuttosto a vincere queste elezioni». Ma nel suo staff confermano che la tentazione c’è. E allora ecco che l’ex «sindaco» ora «presidente», che non sarà mai «eccellenza», potrebbe alla fine reinventarsi «segretario». Tra le bancarelle del mercato, però, questa parola ancora non la sussurra nessuno.