In supremo conflitto di interessi, pubblico qui per quelli che non hanno potuto sentirlo durante la cerimonia funebre del Madur il ricordo (direi l'orazione, anzi) di Mimmo Càndito, suo amico (ma anche mio marito).
All'ombra de' cipressi e dentro l'urne confortate di pianto, è forse il sonno della morte men duro?
Le orazioni funebri, le parole affettuose che si pronunciano quando si dà l'ultimo saluto a chi ci sta lasciando per sempre, hanno forme obbligate, che sono uguali dappertutto, come certi rituali che si pronunciano in alcune cerimonie, e dove le parole hanno perso il loro stesso significato, e se ne vanno via nel vento, come formule vuote : dicono, tutte, immancabilmente, del rimpianto comune, del fatto che a morire sono sempre i migliori, e di quanto era per bene, e affettuosa, e piena di meriti, la persona che è morta.
“Tuti bali”, avrebbe detto il Madur.
E allora voi credete davvero che anche per il Madur si possa fare così? Che davvero si possa consumare il nostro ultimo saluto con la tiritera della frasi fatte e delle lodi ipocritamente fasulle? Che davvero ci diciamo qui quanto era bravo e buono, e così abbiamo scaricato questo senso di vuoto che oggi abbiamo dentro?
Ma davvero c'è qui qualcuno che lo pensa?
Non credo, non lo crediamo noi che lo abbiamo conosciuto, perchè a noi pare impossibile che Enzo non ci sia più. Perchè davvero, chi l'ha conosciuto, come fa a immaginate che il Madur sia morto, ma morto davvero? Senza più quei suoi panni coloratissimi per le strade della nostra città, e quegli occhiali verdi o rossi o rosa, e quei mille strani orologi al polso, e quelle scarpe che nessuno scarparo degno di nome mai si sarebbe sognato di creare. Dadaismo puro, vivacità, tranquilla e dolce spregiudicatezza di chi ama la vita e la vuole colorata, per sé ma anche per gli altri. E mira ed è mirato, e in cor s'allegra.
Un po' tutti quelli che siamo qui abbiamo studiato a scuola il poema del Foscolo “Dei sepolcri”. E per quanto possiamo essere un po' asini - “bocc” ci diceva ridendo il Madur, la sera, al tavolo della pizzeria del Vichingo, e prendeva in giro allegramente la saccenteria di quelli che credono di sapere – per quanto possiamo essere noi tutti un po' “bocc”, riusciamo comunque ad acchiappare dal fondo della memoria di quando ancora avevamo le brache corte, quelle parole del poeta: “A egregie cose il forte animo accendono l'urne dei forti, o Pindemonte”.
Sembra di vederlo qui, il Madur, che a sentire quel nome – Pindemonte – certamente direbbe: “Ma chi l'è cul lì”, e tutti ci metteremmo a ridere, perchè lui fingeva bene di essere “bocc”, di apparire un ignorante, e invece aveva - lo sappiamo bene, chi l'ha conosciuto – aveva una intelligenza acuta, brillante, perfino vorace, che se li pappava tutti di brutto gli azzeccagarbugli che passano per le strade della nostra città ciecamente tronfi del loro stupido titolo di studio o delle loro cariche pubbliche.
Perchè, intanto, una cosa dobbiamo a Enzo: di aver fatto capire, a chi di capire ha voglia, che l'intelligenza è una dote rara, che non abbisogna di abiti formali né di pandette; e che ogni riconoscimento che a questa intelligenza si dà è un contributo sincero all'apprezzamento della verità. E senza verità non c'è indipendenza di giudizio, autonomia di comportamento, libertà di spirito.
Ecco, libertà di spirito. Chiunque sia oggi qui a dire ciao a Enzo si interroghi dentro, si chieda se riesce a immaginare un giudizio diverso per definire ciò che il Madur è stato in questi nostri anni comuni: libertà di spirito. Che vuol dire, poi, in concreto, capacità di viversi in sincerità, in consapevolezza, nella più piena indifferenza delle piccinerie di chi guarda e giudica con acrimonia, con invidia magari, forse anche con la rabbia di non riuscire a essere libero come Enzo mostrava di essere.
Non che fosse un santo o una bandiera. Nulla c'era di più lontano da lui, della voglia di farsi bandiera di qualcosa. Enzo si viveva per sé, per come lui si sentiva di essere, e seppur sapeva bene che comunque di quel suo essere libero e felicemente anarchico sarebbe stato giudicato, e giudicato male, a lui non glie ne fregava più di tanto; al massimo, soltanto all'interno di una misura che non portasse danni a chi gli era vicino.
No, non era un santo, il Madur, e non ci teneva affatto a esserlo. Assumeva serenamente tutte le colpe che si possono dare a chi non bada troppo alle convenzioni e ai pregiudizi, e va per la propria strada. E lui ci andava, e come! “Le urne dei forti”, cantava il Foscolo.
Se non si è santi, o condottieri, o scienziati, o grandi artisti, o letterati di fama, appare difficile che si possa appartenere a questa categoria – i “forti” - che il poeta cantava. Eppure, chi di noi, oggi, avrebbe una qualche remora a immaginare che la citazione del Foscolo andrebbe benissimo addosso al nostro Madur? Perchè, si può essere certamente “forti” guidando un esercito che vince, o predicando a tutti il bene, o scrivendo un'opera imperitura; e questo è scontato.
E' invece assai meno scontato che si possa essere “forti” nella dimensione ridotta d'un vissuto quotidiano che non impegna popoli e genti dell'intero universo ma ugualmente si fa esempio, guida, riferimento credibile, nella realtà raccolta d'una piccola città senza grandi avventure né storie cosmiche da lasciare in eredità al futuro.
Crescentino è una città che ha le sue piccole e grandi storie pubbliche, e le celebra e le onora: Arditi, la Cossotto, Angelini, Caretto. Il Madur non ha avuto questo riconoscimento pubblico, finora. Ed è giunto allora il tempo di darglielo.
Non ha scritto poemi, Enzo, e non ha guidato eserciti (forse il solo piccolo esercito che ha guidato è stato di quei crescentinesi che, con lui, ebbero il loro momento di gloria in una lontana trasmissione delle prime tv, quel “.La bustarella” che fece scoprire a tutti come l'Enzo fosse davvero una personalità straordinaria, capace di stare alla pari con i nomi più celebrati, allora, del cabaret televisivo, e che se soltanto l'avesse voluto, o la fortuna l'avesse aiutato, avrebbe potuto avere oggi una popolarità nazionale che nulla avrebbe avuto da invidiare a quei Teocoli o Boldi che gli recitavano accanto e ne apprezzavano la vivacità dell'intelligenza e la causticità dello spirito).
Non ha scritto poemi né ha guidato eserciti, il Madur. Ma ha dato a quelli che sono ora qui, e anche a coloro che non son potuti venire, ha dato a tutti, sempre, un soffio di allegria, una spinta di energia, una contagiosa carica di vitalità. A piedi, o con quelle sue improbabili macchine, o con questo stralunato Quod a tre ruote con il quale ultimamente scorrazzava, sempre e dovunque e comunque, la sua risata, il suo vocione, il suo “Cume ca sta?” sparato a tutto volume, con la mano aperta, franca, tesa, aprivano una sorta di finestra colorata sulle monotonie o le tristezze della vita quotidiana.
E se c'era da ballare, se c'era una compagnia da metter su, se c'era una festa da montare, lui era sempre lì, il primo, pronto a darsi, mai fermo, mai soddisfatto, mai pigro. Anche ora che la malattia lo tormentava da dentro e gli corrodeva la carne e lo spirito. Sempre se stesso, sempre lui, più forte del destino, più forte del male, più forte della scienza che scopriva stupefatta questa capacità di resistere all'aggressione di un male che gli aveva pronosticato appena qualche mese di vita.
Ecco perchè il Madur noi oggi lo portiamo dentro “l'urne dei forti”, orgogliosamente consapevoli del suo pieno diritto a essere ricordato da tutta la nostra Città come un grande, forse un “bocc”, forse un “rurale” come lui diceva di se stesso ridendo, ma certamente un uomo che ha fatto, anch'egli, un pezzo della storia di Crescentino.
Una storia che negli ultimi tempi è mutata drammaticamente, quasi perdendo la propria consolidata identità in un processo di trasformazione che privilegia invece gruppi, appartenenze settoriali, o regionali o etniche, ma non più la vecchia compatta società dove tutti si conoscevano e mutuamente si riconoscevano, e tanto che oggi questa partenza senza ritorno del Madur pare segnarne simbolicamente una fine irreversibile.
E ora Enzo se ne va, con quella nostra vecchia città che non c'è più. Il Madur lo seppelliamo, resta solo quella sua urna di “forte” che Foscolo celebrava, anche per lui. Però ci consola sapere di certo che quando, l'altro ieri sera, ha detto in silenzio “ciao” alla vita, e se n'è volato via, gli si è aperta subito la porta del Paradiso. Il paradiso non dei santi e nemmeno dei condottieri, ma semplicemente il paradiso della gente qualunque, quali siamo tutti noi. E quando San Pietro lo ha riconosciuto, dandogli il benvenuto sulla porta gli ha anche detto: “Ca senta, monsù Cena. Qui questa porta cigola, si apre con difficoltà. Sarà anche perchè sono sempre più pochi quelli che muoiono e hanno diritto a venire fin quassù, ma intanto, se lei, monsù, ci aiuta a farla scorrere senza troppo rumore, questa porta,io e il Padreterno le diruma grassie”.
Anche lassù, insomma, hanno saputo della generosità pronta del Madur, del suo saper mettere le mani dovunque, della sua capacità di riparare porte, macchine, trattori, alberi che cadono, pompe che si guastano, camini che s'infiammano. E gli hanno dato il benvenuto, e lo hanno accolto come un amico. Un amico di tutti, come lui è sempre stato.
E allora come San Pietro che non riesce a far bene il portinaio con quella sua porta che cigola, e come il buon Padreterno che tutto vede e tutto sa e già gli vuol bene, allora pure noi che bene davvero gli volevamo, ora, semplicemente, piangendo lacrime sincere, ti diciamo: Grazie, Enzo, caro amico nostro di ieri di oggi di sempre. Grazie per quello che ci hai dato, grazie per quello che di te resta dentro di noi.
Arvedsi Madur, a's veduma.
4 commenti:
Gentile Sindaca, mi lascia basita cio' che leggo.
Trovare, nel bel mezzo di un saluto ad un amico che se n'e" andato, un riferimento - dispregiativo - agli azzeccagarbugli della citta' e' di cattivissimo gusto.
Ben poteva l''oratore decantare le tante virtu' di Enzo Cena senza raffronti, mi pare.
Buona vita.
EC
grazie di averlo pubblicato, non sono potuto andare al funerale per via del lavoro e avevo piacere di leggere l'intervento di Mimmo, visto che ne avevo sentito parlare molto bene
mauro novo
Oh ma caro EC, allora non ha colto per nulla lo spirito che avvolge questo ricordo, e la sua morale. Mi dispiace per lei, l'ho anzi postata malgrado il suo anonimato, proprio per raccomandarle di rileggerle. Rilegga che le fa bene, allo spirito.
06/06/2015 fa sempre piacere legge per ricordare un pezzo di NOI tutti che sempre ci mancherà, manchi , è difficile girare per la Campagna e non vederti , ciao musù Cena
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