venerdì 19 febbraio 2016

Le fortune dei piccoli borghi secondo Fabrizio Barca

Chiedo scusa della lunga assenza dovuta alla celebrazione del secondo anniversario del benservito di Franco Allegranza nella lieta terra dei cachi di Sanremo. Ogni martedì, quando il Festival comincia, mi ricordo di quella bella letterina piena di lodi nei miei confronti che arrivò ai giornali locali mentre ero alle prese con la più difficile giornata di lavoro della settimana. Cose che fanno bene al cuore.

Ma non è per questo che vi scrivo. Molti di voi conoscono Fabrizio Barca, un docente e politico di grande forza e raffinatezza, che tiene alto il morale sulla politica, quando la morale della politica si abbassa. Ho letto il blog di un personaggio, Alberto Cottica, che gli ha chiesto perché egli, Barca, sia così appassionato alle vicende dei piccoli borghi italiani, tanto da averne visitati tantissimi (purtroppo non ancora il nostro, ma non si sa mai). Riassumo la lunga disamina di chefuturo.it (al quale vi rimando nel caso voleste leggere tutto) nella quale si evidenziano i motivi di interesse di Barca per posti di dimensioni ancora più piccole di Crescentino. 

Perché il più interessante policy maker italiano non si occupa di città? Perché questa fascinazione per i borghi di montagna e le vallate?
Qualche settimana fa, durante una lunga chiacchierata nel suo ufficio romano, gli ho fatto la domanda direttamente. Riassumo la risposta: Fabrizio pensa che le aree interne siano il futuro non del mondo, ma dell’Italia. Per tre ragioni:
  • Rappresentano la maggior parte del territorio nazionalee sono abbastanza omogenee tra loro. La Val Simeto in Sicilia e la Val di Vara in Liguria hanno problemi simili. I loro dirigenti si capiscono al volo tra loro, e possono collaborare, scambiandosi esperienze. Una policy per le aree interne ha buone possibilità di scalare al livello nazionale.
  • Per contro, le città italiane sono molto diverse tra loro, e diverse anche dalle altre città europee. Napoli è l’unica vera area metropolitana d’Italia. Milano ha alcune delle caratteristiche della grande città europea (design, finanza, creatività) ma non ne ha le dimensioni. Roma è un conglomerato turistico-burocratico-pastorale. Nessuna generalizzazione è possibile. Ciascuna grande città va affrontata come un problema a sé stante.
  • Ma soprattutto, in Italia, le aree interne danno segnali di vitalità. Vi nascono produzioni di eccellenza legate al turismo, alla cultura, all’agrifood. La scuola tiene, e in molti casi rilancia, arricchendosi di tecnologia. Lo stesso abbandono del territorio è a un millimetro dal rovesciarsi in una grande opportunità. Perché nelle aree interne c’è spazio. C’è attenzione delle comunità, c’è fame di innovazione, ci sono spazi a basso costo (e spesso molto belli) in cui portare nuove idee e nuove persone (Fabrizio: “Si offre diversità a un mondo che domanda diversità”).
Raccontata così, la storia di Barca mi sembra convincente – tanto più che ha una valanga di dati a suffragarla. Quindi il futuro è nelle aree interne, nelle loro colline e nei loro campanili. D’altra parte, anche la storia che emerge dagli studi di Banca Mondiale, Bettencourt-West e Brand è convincente, e anche quella è sostenuta da moltissimi dati. Quindi il futuro è nelle città, nelle loro università, nei loro laboratori, e anche nelle loro favelas. Come fanno queste due storie ad essere vere contemporaneamente?
 La mia ipotesi è questa: l’innovazione territoriale ha bisogno di libertà, di luoghi dove provare a fare cose nuove senza troppi vincoli

Dove le norme sociali approvano, o perlomeno non condannano, chi prova a percorrere strade insolite. Dove lo spazio non è già tutto rivendicato da stakeholders potenti e strutturati. Se mi guardo intorno, mi sembra che tutti gli spazi innovativi siano spazi più liberi della media. La libertà si trova nelle favelas raccontate da Brand, perché lo stato rinuncia a mantenervi un controllo capillare. Si trova nelle web farm e nei data havens della Silicon Valley, perché quel mondo (finora) è stato velocissimo e impermeabile agli strumenti tradizionali di controllo dell’economia. Si trova nello spazio, dove Elon Musk e gli altri space billionaires costruiscono un loro pezzo di futuro. E si trova nelle aree interne, aperta proprio dagli spazi fisici e dalla bassa densità di popolazione, che ti mettono al centro della società locale se appena prendi un’iniziativa coraggiosa. Questi luoghi sono la frontiera della società contemporanea, il nostro West, il nostro spazio vitale.
Se è così, allora la narrazione unificante del 2016 è più o meno questa. Le persone intelligenti, ambiziose o soltanto irrequiete sono in fuga dagli spazi chiusi, dove organizzazioni potenti (politica, stato, grande industria) limitano il raggio d’azione dell’iniziativa individuale. Dove vanno? Vanno a colonizzare gli spazi di frontiera. Le frontiere sono luoghi pieni di contraddizioni, talvolta anche spietati, ma forniscono agli individui meccanismi di mobilità sociale, e alle società laboratori di sperimentazione. L’Italia ha una frontiera in più: le aree interne. Ci servirà soprattutto per innovare sull’ambiente, sul turismo, sul leisure, sul presidio del territorio. È una bella occasioneGiochiamocela bene.
Vedo un ottimismo in questo riassunto che mi rallegra ma non riesco a condividerlo, per il carattere crescentinese tendente al pessimismo, che preferisce piangere e lamentarsi invece che agire o sognare e poi inventare. Anche la situazione politica locale ha un ruolo nella propulsione di idee o al contrario nello stringersi sempre più intorno alle proprie paure invece di aprirsi e abbracciare le novità. Temo che noi siamo nella seconda ipotesi, però è bello sognare e non si sa mai. Prima o poi... 

4 commenti:

Non mi firmo ha detto...

Cara Marinella non siamo un piccolo borgo, siamo medio piccoli e non siamo in collina ma nell'arida pianura. Di noi Fabrizio Barca non saprebbe cosa fare, e noi lo sappiamo ancora meno

Giovanni 2 ha detto...

Ho letto di un peruviano che è stato portato a Vercelli perché ha la capacità di allontanare le zanzare. E appunto con tutte quelle che abbiamo, possibile che mai nessuno abbia cercato da noi di inventarsi qualcosa?

Anonimo ha detto...

Meglio tenerle, di questo passo arriveremo alla fame e pare che siano commestibili.
Giuanot

Archimede ha detto...

Qui cara sindaca si parla solo di telecamere, è la frontiera del progresso non ha capito?