mercoledì 28 giugno 2017

E il prof. Vinavil Prodi finalmente si arrabbiò con Renzi

Che il PD non attraversi un grande momento lo abbiamo capito tutti. Le elezioni comunali sono state una débâcle, e per dire solo della Liguria, dall'inizio della sua gestione Renzi è riuscito a consegnare alla destra non solo la Regione ma ora anche Genova. Di mezzo c'è stato, e c'è, sempre il solito problema del tiro alla fune: Matteuccio ha spinto per la sua strada di centro con occhiolino a destra, sconvolgendo equilibri decennali; e dall'altra parte della fune (quella storica) la reazione è stata furibonda, spesso anche lì poco equilibrata. Insomma tutto quel che serve per cadere a pezzi: la volontà di mediazione zero da parte del Segretario ha provocato una reazione uguale e contraria, come diceva Newton nel terzo principio della dinamica.
Le stesse logiche continuano anche nel post elezioni, e stavolta su questo tema della direzione verso la quale andare nel futuro, Renzi (che a quanto pare tira dritto per la sua strada) è riuscito a far incazzare anche Prodi, già mr.Mortadella e ora vinavil per la volontà di mettere insieme le mille anime del centro-sinistra. Ma, si sa, Renzi è divisivo.
Di questo dà conto Fabio Martini, in un articolo su La Stampa.
MV




Fabio Martini per La Stampa
Si è fatta sera, Romano Prodi è appena tornato nella sua casa bolognese di via Gerusalemme, inseguito dai tanti - politici, giornalisti, amici - che da ore lo cercano per una interpretazione "più autentica" della nota che lui stesso ha diffuso qualche ora prima, con quella metafora della tenda che si allontana dai territori del Pd. Il Professore sorride: «Non parlo, non parlo, non parlo! Parla la nota. E ora mi ritiro in pace».

Una pace relativa. Da un mese Romano Prodi sta vivendo una seconda giovinezza: alle presentazioni del suo ultimo libro, la gente si mette in fila per ottenerne un autografo e quando compare in pubblico si alzano standing ovation che neppure quando era il leader dell' Ulivo... Ma il fenomeno più sorprendente che riguarda Prodi è quello dei politici ancora in campo che si sono messi in "fila" per ottenerne la laica "benedizione": Matteo Renzi, Giuliano Pisapia, Enrico Letta. O che chiedono consigli: come Laura Boldrini o Carlo Calende.

Lui finora ha ascoltato, si è limitato a dare suggerimenti e aveva deciso di soprassedere davanti alle inesattezze contenute in tanti articoli. Ma ieri mattina, oltre ad uno dei tanti "retroscena" che attribuivano al leader del Pd una rinnovata vocazione alla rottamazione, il Professore è rimasto infastidito dalla lettura del voto data da Renzi in un colloquio con il direttore del "Quotidiano Nazionale" Andrea Cangini, nella quale si sosteneva che «i migliori amici del Berlusca sono i suoi nemici, che invocano coalizioni più larghe».

In altre parole Renzi spiegava il netto, generalizzato calo del Pd con la strategia unitaria invocata da Prodi, una lettura che al Professore è apparsa una paradossale "chiamata", un rovesciamento della realtà, una provocazione difficile da lasciar correre soprattutto da parte di chi sta provando a trovare un minimo comun denominatore in uno schieramento che, come dice Prodi, «è paralizzato dai veti».

Dunque, è stata una forte irritazione ad ispirare la nota del Professore con la metafora della tenda che si allontana dal Pd. «Io - dice Prodi - mi limito ad osservare che, in assenza di divergenze strategiche, nel centrosinistra se si continua sulle divisioni personali, si rischia lo stallo totale. Io non faccio il tifo per nessuna delle parti in gioco».

Ecco perché nel loro incontro riservatissimo di metà giugno all' hotel Santa Chiara Matteo Renzi, Romano Prodi e Arturo Parisi avevano cercato una possibile intesa sul futuro. E avevano esplorato una strada, che finora è rimasta inedita. Prodi, ma a sorpresa anche Renzi, avevano convenuto sul fatto che il leader del Pd al momento resta un elemento divisivo: con lui candidato a palazzo Chigi le due aree del centrosinistra sono destinate a guerreggiarsi.

Partendo da questa premessa Prodi aveva sostenuto - ma l' altro aveva annuito - che la cosa migliore è che Renzi si dedichi a potenziare e irrobustire il partito, mentre come candidato per palazzo Chigi si dovrebbe trovare un candidato che metta d' accordo tutte le aree del centro-sinistra.

Per esempio Enrico Letta. Renzi non ha opposto, sul momento, resistenze a questa via d' uscita. Anche se in quelle ore era parso interessato soprattutto a capire se il Professore avesse intenzione di partecipare alla manifestazione di Pisapia-Bersani il primo luglio a Santi Apostoli. Prodi aveva spiegato a Renzi che lui intende svolgere un ruolo da collante, «sono una specie di Vinavil» e dunque non era sua intenzione essere in piazza.


domenica 25 giugno 2017

In memoria di Stefano Rodotà, che amava i diritti e odiava gli inciuci

Avrete sentito tutti che l'insigne giurista Stefano Rodotà se n'è andato all'età di 84 anni.
Era un uomo con la schiena dritta, uno studioso che guardava avanti. Per chi volesse saperne di più, questo è l'articolo che ieri Riccardo Barenghi, meglio conosciuto come Jena per le sue frasi folgoranti ed ex giornalista del Manifesto, ha scritto in memoria di Rodotà su "La Stampa".

Morto Rodotà, una vita per libertà e diritti

Il giurista aveva 84 anni. Docente emerito, ha sempre legato l’impegno culturale alle battaglie civili Parlamentare della sinistra indipendente, entrò nel Pds. I grillini lo avevano candidato al Quirinale
Si può dire che Stefano Rodotà, scomparso ieri dopo una malattia a 84 anni, è sempre stato dalla parte di quelli che non avevano diritti, o ne avevano pochi, gli immigrati per esempio (lo ius soli è stata una delle sue ultime battaglie), ma non solo loro. Sia come giurista, costituzionalista era la sua «professione» principale, sia come politico, mestiere che cominciò nel 1979 ufficialmente quando fu eletto alla Camera come indipendente nelle liste del Pci di Enrico Berlinguer. All’epoca faceva coppia con un altro giurista, Franco Bassanini, spesso e volentieri le battaglie le facevano insieme. Sono passati quasi 40 anni da quando Rodotà è entrato in politica, senza tuttavia smettere mai di fare il suo mestiere fondamentale, quello appunto di costituzionalista. È stato capace durante tutto questo tempo, di amalgamare politica e diritto, anzi diritti, tenendoli insieme in una produzione enorme di libri, articoli di giornale (scriveva soprattutto su Repubblica e ogni tanto, sul Manifesto), interviste e interventi in convegni, congressi e ovviamente in Parlamento fino a quando c’è stato. 

Naturalmente è stato professore universitario, ha insegnato in Italia e all’estero. Da giovane si era iscritto al Partito radicale («L’unica tessera che abbia mai avuto»), Marco Pannella gli aveva anche proposto di candidarlo alle elezioni. Ma lui rifiutò, preferendo entrare in parlamento attraverso il Partito comunista, seppur come indipendente. Non sono anni facili, in Italia le Brigate rosse avevano rapito e ucciso Moro, Rodotà si schierò contro le leggi di emergenza volute da Francesco Cossiga e votate anche dal Pci. Resterà deputato fino al 1993, anno in cui si dimette a sorpresa subito dopo essere stato eletto vicepresidente di Montecitorio. Lapidaria la sua motivazione: «Ingrata politica non avrai le mie ossa».  

Ma certo non l’abbandona, la politica, tutt’altro. Aderisce al Pds di Achille Occhetto, ne diventa addirittura presidente senza però condividerne fino in fondo il progetto. La sua presenza si sente ovunque durante gli anni della Seconda Repubblica, di Berlusconi parla e scrive di tutto, naturalmente contro: «Siamo alla rottura dei fondamenti di un moderno Stato democratico», disse a Rina Gagliardi del Manifesto dopo che Berlusconi aveva incassato la sua prima fiducia nell’aprile del 1994. Col primo governo Prodi diventa Garante della Privacy, ruolo in cui resterà fino al 2005. Sono gli anni in cui è nata la rete e con essa tutti i problemi che riguardavano e riguardano la diffusione dei dati personali. Non serve dire che è sempre stato un garantista, di quelli più puri: nel senso che non ha mai avuto secondi fini. 

Col partito principale della sinistra (Pds-Ds-Pd), il suo rapporto non è mai stato facile, anzi via via che quel partito si trasformava Rodotà se ne allontanava avvicinandosi leggermente alla sinistra più sinistra, senza tuttavia mai entrarci a pieno titolo malgrado corteggiamenti e offerte. Né nella Rifondazione di Fausto Bertinotti né nella Sel di Nichi Vendola.  

Nel 2013, Rodotà è candidato dalla consultazione on line del Movimento Cinquestelle alla Presidenza della Repubblica. Ma non viene eletto, il Partito democratico non gli dà i suoi voti perché non poteva accettare un personaggio troppo autonomo intellettualmente e per di più «grillino» (anche se lui non lo è mai stato). Al suo posto viene rieletto Giorgio Napolitano. 

Poco tempo dopo il segretario del Pd Pier Luigi Bersani si dimette e al suo posto si insedia il «traghettatore» Guglielmo Epifani, in attesa dell’arrivo di Matteo Renzi. In un’intervista al nostro giornale, del 13 maggio di quell’anno, Rodotà non è tenero verso il Partito democratico: «Le due culture politiche che dovevano amalgamarsi non sono neanche riuscite a dialogare tra loro». E di Renzi, cosa pensava? «Non mi piace l’ideologia del nuovismo nel metodo e molti contenuti nel merito, a cominciare da quelli sul lavoro». Una profezia che si è poi avverata, non a caso al referendum sulla Costituzione Rodotà ha votato no. 

Il professore lascia la moglie Carla e due figli, fra cui Maria Laura, giornalista che in passato ha lavorato anche per la «Stampa». 

giovedì 22 giugno 2017

Il cantoniere che prende le cantonate


"Ma come, proprio lei, che aveva riempito il paese di acciottolati sconnessi, ora si lamenta per due buchette?
Cantoniere"

Caro Cantoniere-Amministratore, la Sua ignoranza mi addolora, non per me ma per tutta la cittadinanza, compresi quelli che l'hanno votato.
Se il Centro Storico è in questo stato, lo si deve anche alla sistematica mancanza di conoscenza che pervade il Palazzo. 
"Due buchette" quelle di via Tino Dappiano lo saranno per lei e per la sua sensibilità acclarata. Ho trovato nel 2009 piazza Caretto con il porfido saltato sostituito da pezze di asfalto, come i rattoppi di una maglia vecchia, e abbiamo dovuto rifare tutte le strade principali che abbiamo potuto, finché non finirono i soldi. Non parliamo delle frazioni.
Piangendo miseria avete rimesso l'asfalto in via Mazzini, nel 1999. Se poteste, oggi buttereste giù anche il teatrino Civico all'interno del Comune.
Per fortuna non si può.
Tié.


lunedì 19 giugno 2017

Unità a sinistra? Da D'Alema alla Rasta... Per ora è un bel no

Si sono viste l'altro giorno al teatro Brancaccio di Roma tutte le anime a sinistra del PD che sognano l'unità e contemporaneamente la vietano. Pisapia, l'uomo del giorno, mancava.
Il momento è delicato, il tempo non è tanto se si cerca un risultato che permetta di strutturare una forza. Qui sotto c'è una simpatica cronaca dell'incontro , presa da La Stampa e scritta da Alessandro di Matteo.
Io fiducia ne ho poca. Mentre leggevo mi è passata davanti la mia vita in Comune nell'ultimo mandato, e le facce di Rotondo, di Angelone duro e puro con tutte le imprese e i discorsi che non ha mai fatto, di Dario Gallo presidente del Consiglio Comunale all'opposizione dopo l'abbandono del mio amico Sellaro: con lui che votava le peggio cose proposte dall'opposizione votata come tale, ho passato momenti celestiali. Tanto celestiali che ho dovuto andare a vedere su Internet come si chiamava, perché non mi ricordavo più.
Cosa fa Freud.
Come sarebbe stato il nostro percorso, se fossero rimasti? La storia non si fa con i se e con i ma.
Beh, comunque quello era un microcosmo. Pensa sul grande, sull'Italia intera.
Ciao Ninetta.
Ma adesso è il momento in cui non bisognerebbe perdere la fiducia...
MV



Da "La Stampa"
Se non fosse per Matteo Renzi, probabilmente non si sarebbero mai ritrovati nella stessa sala Massimo D' Alema e Marica Di Pierri, l' attivista ambientalista con i capelli rasta che inveisce contro il «capitalismo rapace». Al teatro Brancaccio di Roma va in scena il tentativo di mettere insieme una lista di sinistra alle prossime elezioni, o meglio uno dei tentativi visto che anche Giuliano Pisapia lavora a un obiettivo teoricamente simile.


L' ex sindaco di Milano non c' è, e del resto da queste parti non è particolarmente amato: non gli viene perdonato il sì al referendum voluto, e perso, da Matteo Renzi, e non piace nemmeno quel canale che continua a mantenere aperto verso il Pd. I padroni di casa sono Tomaso Montanari e Anna Falcone, gli animatori dei comitati per il no al referendum che ora provano a ripartire da quel successo per costruire «una vera coalizione civica di sinistra». Lo fanno anche con la benedizione di D' Alema, che fa esercizio zen per non raccogliere la diffidenza nei suoi confronti che circola in platea.


La sala è piena, molti restano fuori. C' è Sinistra italiana, Rifondazione, Pippo Civati, l' Arci. Si affaccia Vittorio Agnoletto, Sergio Cofferati è assente per motivi di salute ma manda un messaggio. Tutta gente che non vuole avere nulla a che fare con Renzi e che guarda di traverso anche gli scissionisti Pd che provano a fare da ponte con Pisapia. E poi, appunto, ci sono i bersaniani Miguel Gotor e Roberto Speranza. «È gente che ha votato le riforme di Monti», mugugnano in tanti in sala.

Costruire la lista anti-Renzi è cosa complicata. Ne sa qualcosa Gotor, che appena sale sul palco viene interrotto da una militante: «D' Alema in prima fila è una presa in giro. Lui, Bersani, Vendola Il vecchio che ritorna», si sfoga la contestatrice con i giornalisti dopo essere stata allontanata. Non è una posizione isolata, Gotor ne ha la conferma quando invita tutti a partecipare anche alla manifestazione che Mdp e Pisapia terranno il primo luglio col titolo «Insieme»: di nuovo fischi, mormorii. Un clima che preoccupa Arturo Scotto, ex Sel, ora in Mdp: «Dobbiamo dire no ai veti. Con Renzi non c' è intesa possibile, ma non possiamo regalargli Pisapia».

Montanari e la Falcone cercano di ammorbidire la platea verso gli ex Pd, chiariscono anche che non ci sono veti nemmeno verso chi ha votato sì al referendum, ma mettono anche le cose in chiaro: «Se l' unica prospettiva della sinistra era allearsi al Pd di Matteo Renzi, noi non avremmo nemmeno votato». 

Va bene tutto, ma Renzi no: bisogna porsi in chiara alternativa al Pd. Forse per questo D' Alema resta impassibile anche quando Montanari attacca i governi di centrosinistra, quelli degli Anni 90 nei quali lui e Bersani erano ai posti di comando: «L' inizio dello smontaggio della Costituzione, la riforma Treu, la Turco-Napolitano, la guerra in Kosovo (gestita proprio da D' Alema come premier, ndr), il conflitto di interessi nelle telecomunicazioni».

Verso Pisapia c' è gelo e nessuno sembra ascoltare Romano Prodi che si ripropone in versione «Vinavil» per rimettere insieme i pezzi del centrosinistra diviso da «micidiali rotture personali». Lo chiarisce la Falcone: «Non c' è nessun centrosinistra da unire, la terza via ha fallito. Non vogliamo unificare la sinistra, vogliamo costruire la sinistra che non c' è ancora».

Montanari cita esplicitamente l' ex sindaco di Milano: «Ci aspettiamo il primo luglio una risposta chiara». Bisogna scegliere, è il senso, il Pd o la sinistra. Una richiesta simile a quella di Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana.

«Io il progetto di Pisapia non l' ho ancora capito. Nessun veto ma a Renzi non si può rispondere tornando a parlare di Ulivo, si rischia di sembrare inutili». Qualcuno, come Vincenzo Vita, ex Pd ora con Civati, dice esplicitamente ciò che molti sperano: «Il dualismo con Pisapia si risolverà perché Giuliano capirà che non c' è spazio accanto al Pd».


(tanto per capirsi, questo è il titolo che ha scelto Dagospia.com riprendendo il pezzo dal quotidiano torinese:


LA VOCAZIONE MINORITARIA E' SEMPRE VIVA! – PROVE (FALLITE) DI UNITA’ A SINISTRA DEL PD: LE CARIATIDI DI RIFONDAZIONE COMUNISTA SFANCULANO RENZI, MA PURE PISAPIA. A D’ALEMA RINFACCIANO LA GUERRA IN KOSOVO. FISCHIATO GOTOR).

martedì 13 giugno 2017

Il Viale della Madonna e due sante donne


Mi scrive Preddy:
"Una domanda: ma il viale della Madonna, di chi è la competenza di manutenzione e pulizia? Non ci ho mai capito. Quello che so è che da qualche giorno è ricominciato il via vai di ragazzini/e fumatori sporcaccioni e maleducati che la sera fumano bevono schiamazzano e bestemmiano fino a tarda notte, lasciando ogni tipo di schifezza a terra (mancano solo piu' gli escrementi). A parte togliere l'ultima panchina rimasta intatta che permette a questi intellettuali di creare capannelli per disquisire di Platone, che altro si potrebbe fare? Telecamere? Qualche bel raid di polizia locale o carabinieri?"



Accosto la legittima domanda di Preddy a una foto che mi hanno mandato, se ho capito bene da "Sei di Crescentino se".
Come nota giustamente la signora Antonella, quello dei sacchi di spazzatura è un lavorone , ma lei non sa che un bel mattino lo hanno fatto due cittadine, Nicoletta Ravarino e la sua amica signora Tararà, stufe di passar dal viale e vedere la schifezza che Preddy così bene racconta.

La pulizia del viale è di competenza del Comune, che com'è noto fa quel che può, ma soprattutto gli uffici fanno quel che gli viene detto di fare, e le emergenze sono parte di ogni giornata.

Rilevo che trovare qualcuno che smette di parlare e fa, non è facile. E' più facile trovare qualcuno che si insospettisca per tale lavoro: è di qualche giorno fa la storia del vicesindaco Speranza che definiva "politica" un'azione di pulizia del circondario ad opera di alcuni cittadini con perfino migranti. Preferirebbe la sporcizia del Viale lui, magari.

Per la cronaca, conoscendo bene le regole, la dott. Ravarino ha avvertito gli uffici comunali dell'opera sua e della sua amica, e poi immagino che i sacchi siano stati prelevati. 
Poiché non è facile trovare volontari come queste due Sante Donne, ci si augurerebbe davvero qualche telecamera, e un passaggio a sorpresa di vigili e carabinieri ogni tanto. Ma anche cartelli dissuasori, e delle sonore ammonizioni casalinghe in tema di educazione civica soprattutto. E la scuola? 

Ormai ci sono le vacanze, ma tutto passa sempre da lì, dall'educazione.


lunedì 12 giugno 2017

Lavori Pubblici e quel passaggio in rosso


Ricordo all'Assessore ai Lavori Pubblici che il passaggio pedonale dal Viale della Madonna verso via Michelangelo , via Chiò e il viale che porta al Santuario, è in un posto delicato e pericoloso, dove convergono appunto quattro strade e molti passanti. 
Poiché le righe bianche e gialle già sono state ripassate, ma quelle rosse no, sarebbe d'uopo metter mano alla vernice e ravvivarle: perché, piaccia o non piaccia, quel colore attira l'attenzione ed è segnale di pericolo. Chi passa di lì a piedi o in bicicletta ha diritto alla sicurezza come chiunque altro.
(Intanto che ci sono, magari per distrazione non ho visto via Dappiano nell'elenco delle strade da asfaltare. Se ho visto bene, ricordo che la prima parte fra la Parrocchia e la Posta è un autentico gruviera e in bici si rischia di cadere).

domenica 11 giugno 2017

Rivolete i parcheggi in Piazza Caretto?

Non so cosa ne pensino quei pochi che abitano lì, ma con la rinuncia del Mazzini in versione cinese a utilizzare lo spazio dell'ombrellone d'angolo, e l'allargamento dei tavoli del Portico, Piazza Caretto attira in queste serate estive un'affluenza inusitata, e con essa una ventata d'allegria che raramente sembra appartenere alla nostra amata cittadina. 

Ho visto che finalmente anche l'ombrellone del Vanilla sulla piazza si popola, e la visione è quella che avevo immaginato durante i lavori: un luogo di convegno e di chiacchiere e tempo libero da condividere, vecchi e bambini, uomini e donne. 

Ma quanto mi hanno sfinita con la piazza storta, i marciapiedi storti, le lune sbagliate dello stemma? E quelli disperati perché si perdeva parcheggio? C'era un commerciante che quando passavo mi guardava come se fossi il mostro  di Firenze. 

E comunque siamo brava gente, stiamo lì e ci divertiamo malgrado gli occhi ciechi del palazzo Biverbanca privo di finestre e abbandonato a se stesso; malgrado il Condominio Lanza che alla fine, dopo cinque anni sfinenti di colloqui settimanali con un amministratore a dir poco problematico, ha promesso promesso, ma non ha ancora mosso un dito per diventare decente agli occhi dei Crescentinesi. 

I partiti all'osteria, Renzi isolato, Cuperlo non gliele manda a dire...

Sappiamo tutti benissimo in quale inferno politico viviamo, dopo l'ammucchiata extra-parlamento per metter su una legge elettorale PROPORZIONALE fra PD, Forza Italia, Lega e M5S e lo sconclusionato gran finale dove ognuno ha cercato di fregare l'altro, fino a dissoluzione del progetto, con le tristerrime visioni tv degli insulti reciproci da osteria. Uno spettacolo che davvero non si vorrebbe vedere mai. 
Però, poiché bisogna andare avanti, i giochi si riaprono. Renzi apre a Pisapia, Bersani si arrabbia perché Pisapia non è cosa da Renzi. Ma c'è chi all'interno del PD, è come se fosse fuori. Il nobile Cuperlo taglia e cuce con eleganza in questa intervista non priva di umorismo di domenica mattina su La Stampa, segnalando che re Matteo è nudo: già, perché intanto c'è un'arietta di sinistra in Gran Bretagna, e bisogna poi vedere come vanno le Comunali di oggi, quando si chiudono le urne...



ROMA
Onorevole Gianni Cuperlo, ora a sinistra vi siete svegliati seguaci di Corbyn come ieri di Obama e Zapatero?  
«Importare modelli è una sciocchezza. Quel voto dice che speranze e bisogni alla fine si impongono. Un leader di 70 anni senza camicia bianca ha riportato al Labour la generazione più umiliata. E’ questo che dovrebbe suggerire lucidità e una lettura di dove si vuol condurre il primo partito del centrosinistra. Purtroppo sembrano carenti entrambe». 

Dopo il flop della legge elettorale simil tedesca alla Camera, ora Renzi sembra guardare nuovamente a una alleanza di centrosinistra. Lei è favorevole?  
«Ho invocato il centrosinistra per anni e se ci arriviamo brindo ma non mi bendo gli occhi e dico che oggi Renzi segue una rotta confusa. Ha spinto per il voto subito anche a costo di archiviare l’identità del Pd in vista di un governo con Berlusconi. Ora apre a Pisapia dopo mesi in cui ha fatto l’opposto. Quel campo aperto, largo, civico che solo tre giorni fa pareva rimosso vorrei capire come lo si vuole rifondare». 

Lo dica lei.  
«Intanto con Pisapia il dialogo va fatto davvero. E con un gruppo di parlamentari Pd lo incontreremo nei prossimi giorni».  

Per fare cosa?  
«Il centrosinistra non è una somma di sigle o l’accordo di un ceto politico. Spetta al partito più grande gettare ponti, evitare rotture, ma poi il tema riguarda tutti. Da dove si riparte? Una carta condivisa, il migliore governo nelle città dove spero che oggi gli elettori ci diano fiducia, un movimento dal basso che riapra la questione sociale? O magari da primarie di coalizione? I cantieri aperti ci sono, le officine di Pisapia, una sinistra nel Pd che ha scommesso su una ripartenza. Io dico uniamo le forze, le risorse, perché il momento è adesso». 

Sulla legge elettorale ritiene che si debba continuare a lavorare sull’ipotesi tedesca? O puntare su formule maggioritarie?  
«Una classe dirigente non butta la palla fuori dal campo. Si torni in commissione e si cerchi una soluzione. I paletti ci sono, rappresentanza e governabilità recuperando la via di coalizioni da dichiarare prima del voto».  

Tutto fa pensare che sia molto difficile tornare al maggioritario. E Orfini ha ribadito che col proporzionale le alleanze si fanno dopo il voto
«Ma ci rendiamo conto del balzo logico da una cultura iper maggioritaria al proporzionale senza un correttivo? Si può rinsavire un istante e restituire valore alla ricerca di una mediazione saggia nell’interesse della democrazia e non dei singoli?». 

Il nodo Mdp. Renzi pare rivolgersi esclusivamente all’ex sindaco di Milano.  
«Il tema riguarda per primi noi, l’identità del Pd. La scommessa di sfondare al centro abbandonando principi e contenuti della sinistra è fallita. Il Pd è riuscito a litigare con tutti e a chiudersi in un isolamento dannoso. A questo punto non basta dire che su ius soli, tortura o fine vita andremo diritti. Dobbiamo correggere l’errore sui voucher, ridare nerbo a principi di eguaglianza, equità fiscale, investimenti per crescere. Senza questo il piano inclinato ci farà rotolare a valle e in molti non siamo disposti a farlo». 

Con Bersani e gli altri è possibile per voi fare alleanze?  
«Dico che si può e si deve. In questi anni a Renzi non ho risparmiato critiche ma nel Pd finora ho scelto di rimanere per sostenere le mie ragioni. Rispetto chi è uscito, ma senza la forza più grande è molto difficile costruire un centrosinistra di governo. Renzi non può concedere patenti a nessuno e io mi batto perché cambi strategia. La sinistra non vince sui veti ma se ricostruisce l’unità su una linea che parli e conquisti una maggioranza. Tra le due cose c’è la stessa distanza che separa la politica da Edmond Dantès». 

Dopo lo strappo con Alfano, e in questo clima, ritiene possibile arrivare al 2018 e varare una buona legge di Bilancio con questa maggioranza?  
«Non so se sia possibile. So che è necessario». 

domenica 4 giugno 2017

Addio all'Unità

Mentre il terrorismo fanatico dell'Isis continua il suo stragismo a Londra, e mentre la paura invece provoca un'incredibile caos con feriti anche gravi a Torino, in una quieta serata di calcio in piazza, oggi si registra invece un'altra fine, malinconica e simbolica, ed è quella dell'Unità, il quotidiano fondato da Gramsci. Dagospia ha gioco facile a intitolare "...e affondato da Renzi". Sono tempi difficili per i giornali di carta, e ancora più difficili per quelli di partito. Qualcosina si poteva fare, i vertici PD avrebbero potuto mostrare il loro valore anche nel prendersi carico di questa patata bollente e trasformarla, piegarla alle nuove regole imposte dal mondo che cambia così velocemente.
Qui sotto la cronaca raccontata sul sito di Repubblica, dell'ennesima, quasi certa fine di una storia della nostra società.





I lettori de L'Unità stamane hanno potuto scaricare in formato Pdf quello che la redazione annuncia essere il suo ultimo numero. Il titolo, sulla prima pagina digitale, non è casuale ma un voluto riferimento al 2 giugno e alla festa della Repubblica: "Così si calpesta una storia".

A corredo, una foto in bianco e nero, L'Unità impugnata da tante mani per celebrare la vittoria della Repubblica sulla Monarchia nel referendum del 1946. Ed è qui che intervengono le amarissime parole del sommario. "Nel giorno della festa della Repubblica che celebra il lavoro, l'editore annuncia la sospensione delle pubblicazioni. Mesi di ricatti e vessazioni. La redazione in sciopero, come ennesimo atto di difesa e dignità. Il silenzio del Pd".

Pubblicazioni sospese, come nell'estate del 2014, quando il quotidiano fu chiuso per il fallimento di Nuova Iniziativa Editoriale Spa, ma come la Fenice rinacque in edicola un anno dopo con un nuovo assetto societario (80% di proprietà della Piesse, circa il 20% della Fondazione Eyu - Europa YouDem-Unità che fa capo al Pd). Questa volta, il finale della storia è appeso all'editoriale, firmato dall'assemblea della redazione, che riprende il comunicato distribuito ieri sera alle agenzie al termine della riunione.

"Ci sono storie - si legge - che non dovrebbero finire, per la storia che hanno raccontato e testimoniato, per quella che hanno cercato di capire, per chi ci ha creduto, per chi ci ha messo passione, professionalità e attaccamento. Questa storia, la nostra, hanno deciso di chiuderla nel modo peggiore, calpestando diritti, calpestando lo stesso nome che porta questa testata, ciò che ha rappresentato e ciò che avrebbe potuto rappresentare".  Le parole dei giornalisti fanno riferimento, viene ricordato, a una comunicazione dell'editore, inviata nella tarda serata di ieri sera, con la quale ha fatto sapere che avrebbe incontrato a breve la Federazione nazionale della Stampa, Stampa Romana e il Cdr per illustrare la situazione economico-finanziaria del giornale e la "conseguente decisione di interrompere volontariamente la pubblicazione". La "strada giusta", aggiungeva l'amministratore delegato Guido Stefanelli, "che questa sia la scelta più giusta da fare in attesa di portare a compimento le procedure di ristrutturazione aziendale".

La decisione viene giudicata "grave" dal corpo redazionale dell'Unità perché "arrivata dopo giorni di assenza del giornale dalle edicole perché lo stampatore ha fermato le rotative per la mancata riscossione dei crediti maturati e per i quali da mesi chiedeva il relativo pagamento". Se si è arrivati fino a questo punto, proseguono i giornalisti della testata fondata da Antonio Gramsci, "non è stato per un improvviso fatto esterno, ma per una decisione più volte annunciata dallo stesso stampatore".

"In questa storia sono in diversi a dover rispondere di quanto accaduto", accusano i giornalisti dell'Unità. "Gli editori di maggioranza, la Piesse di Massimo Pessina e Guido Stefanelli, Eyu, che fa capo al Partito Democratico, e lo stesso segretario del Pd Matteo Renzi, a cui più volte ci siamo rivolti senza mai ottenere una risposta o una parola di solidarietà nei momenti più duri della lotta, quando per otto giorni di seguito la redazione

è scesa in sciopero ad oltranza. Un silenzio che ha ferito tutti coloro che in questo giornale hanno lavorato accettando condizioni spesso al limite dell'accettabile. Ci chiediamo se anche di fronte a questa decisione dell'editore proseguirà la scelta del silenzio".