Il fenomeno degli “homeless” della politica si sta facendo sempre più evidente. È l’assenza di una casa, di un riferimento ideale in cui identificarsi. Ne abbiamo avuto un assaggio nei giorni scorsi con le elezioni di alcune amministrazioni locali. Gli stessi sondaggi sulle prossime elezioni regionali segnalano una quota rilevante di incerti e di elettori che non paiono intenzionati ad andare a votare. Di qui le difficoltà delle proiezioni elettorali e il materializzarsi dello spettro dell’astensionismo.
Da tempo l’azione del votare non è considerata più un obbligo morale: solo un terzo degli italiani (34,8%, CMR – Intesa Sanpaolo per La Stampa) considera del tutto inammissibile non esercitare questo diritto. Di qui, un rapporto sempre più laico, meno strettamente ideologico nei confronti della politica e dei partiti. Tuttavia, per l’Italia si pone un problema specifico. Diversamente dagli altri Paesi europei, il sistema politico e dei partiti da oltre 20 anni non ha ancora trovato una sua definizione. Da Tangentopoli in poi, abbiamo avuto diverse leggi elettorali, fra l’altro differenti secondo i livelli amministrativi. I partiti hanno sì mutato – e ripetutamente – sigle e simboli, ma altrettanto velocemente non si può dire sia avvenuta anche una riflessione culturale sulle trasformazioni sociali ed economiche. Il risultato è, quando va bene, il diffondersi di un generale disorientamento e disillusione nell’elettorato; quando va male, un disincanto e un distacco dalla politica. La ricerca di CMR affronta le difficoltà nel rapporto dei cittadini verso la politica. Con esiti non scontati.
Complessivamente la maggioranza (52,6%) non individua, nell’attuale panorama politico, un soggetto (partito o movimento) cui sentirsi idealmente vicino. Per converso, solo il 17,7% si potrebbe definire un “militante”, che s’identifica pienamente in un partito. Fra questi due estremi si collocano quanti si approssimano (18,0%) a una delle formazioni politiche o evidenziano un atteggiamento negoziale, valutando di volta in volta (11,7%). Se poi si chiede non tanto l’intenzione di voto, quanto il livello di prossimità ai partiti, scopriamo che paradossalmente la prima formazione politica è il “non-partito”. Ben il 48,5%, infatti, non si sente vicino (o meno distante) ad alcuno della lunga lista di partiti oggi presenti. Certo, poi alla fine contano i partecipanti effettivi. E così stimando solo quanti esprimono una vicinanza, si può osservare che gli italiani si sentono idealmente più vicini (si badi bene, non che voterebbero) soprattutto al Pd (43,0%), mentre le altre formazioni seguono a grande distanza (M5S: 18,2%; Forza Italia: 12,2%; Lega Nord: 10,8%), evidenziando così lo sfarinamento delle opposizioni.
La quota degli “homeless” della politica resta comunque elevata. Se ci fossero le elezioni nazionali nelle prossime settimane, andrebbe a votare poco più della metà degli aventi diritto (57,3%). Questo per tre motivi: la percezione della distanza del ceto politico dai problemi reali della popolazione (37,4%), la frustrazione per l’assenza di reali cambiamenti (27,5%), un disamore radicale nei confronti dei partiti (15,2%).
Ma non di sola anti-politica si tratta, anzi. Da un lato emerge una domanda di politica nuova, in grado di aggiornare i propri riferimenti culturali e di analisi. Il 75,0% degli interpellati ritiene che le tradizionali categorie politiche (destra/centro/sinistra) non siano più in grado di leggere correttamente la realtà. E, quindi, di indicare prospettive coerenti con le trasformazioni. Inoltre, è la stessa forma partito a essere messa in discussione (55,4%). Dall’altro, trova spazio anche una forma di autocritica. C’è la consapevolezza che il livello scadente della politica nazionale sia responsabilità anche dei cittadini (69,9%) e che, in fondo, i politici siano lo specchio del paese (51,9%). Dunque c’è una domanda di nuova politica che necessita nuovi edifici culturali e forme organizzative. Così sarà possibile dare una casa anche agli “homeless” della politica.
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