Solo un attacco di senso di responsabilità nei confronti del Paese che soffre (e investe la metà rispetto alla Bulgaria in ricerca scientifica), potrebbe salvare quel che resta del PD dopo anni rancorosi. Scorre sangue amaro fra il "ducetto" Renzi e la vecchia sinistra di Bersani e di tutti i cespugli cresciuti all'ombra di questa gigantesca foresta del malcontento, senza mai un chiarimento durante il mandato del Segretario. Forse era inevitabile che finisse così.
Qui l'inviata del Corriere della Sera ci racconta la rava e la fava (ma il finale è tutto da scrivere, ancora)
Monica Guerzoni per il “Corriere della Sera”
Al terzo giro del Transatlantico di Montecitorio, un Pier Luigi Bersani gonfio di parole e di angoscia per il rischio di una spaccatura insanabile lancia un ultimo appello «a chi è vicino a Renzi». Ad Andrea Orlando, a Dario Franceschini, a tutti i capicorrente: «Io da lui non mi aspetto più nulla, ma chi ha buon senso ce lo metta. Siamo a un bivio molto serio e la sua linea ci sta disintegrando. La scissione? C' è già stata, abbiamo perso per strada un sacco di gente e io mi chiedo come possiamo recuperarla...In direzione ho visto solo dita negli occhi».
Mollerete gli ormeggi? «Io voglio bene al Pd, ma se diventa il "Pdr" non gli voglio più bene». Le tensioni No al Partito di Renzi, no a un congresso «cotto e mangiato» prima della legge elettorale e delle Amministrative, no ai capilista bloccati («ma diamo i numeri?»), no al voto anticipato: «Ci vuole un chiarimento sul sostegno a Gentiloni. Non puoi lasciare un Paese nel frullatore. Qui c' è un elemento di irresponsabilità».
Per Bersani «il collettivo non può essere un gregge» e se Franceschini, Orlando, Delrio e gli altri non batteranno un colpo prima dell' assemblea di domenica, lo strappo sarà inevitabile. Bersani non si sente più a casa, è pronto davvero a sbattere la porta e aveva persino pensato di disertare l' appuntamento chiave: «Se andrò all' assemblea? No lo so, vediamo se arriva qualche riflessione». Mezz' ora dopo, sempre Bersani: «Ci andrò sicuramente. Non manco mai agli appuntamenti del partito».
IL DOCUMENTO
Ansia, incertezza, attesa. Riunioni segrete e riunioni smentite. Nessun contatto tra renziani e minoranza. Finché alle sette di sera il Nazareno batte un colpo e fa sapere che 10 sindaci e 3 governatori hanno firmato un documento a sostegno della linea del leader: «Il congresso è l' antidoto naturale al pericolo di scissioni».
Ma i rapporti sono ormai così sfilacciati che Enrico Rossi paventa una scissione ancor prima del congresso: «Il segretario vuole accentuare il carattere renziano del Pd, spostando il partito ancora più a destra».
Nei capannelli nervosi dei deputati tiene banco il sospetto che Renzi sia persino tentato dal favorire la scissione, per farsi un partito tutto suo in grado di trattare con Berlusconi e intercettare il suo elettorato. Bersani è incredulo: «È così masochista?». Ma un dirigente vicino a Renzi conferma la suggestione: «Noi la scissione non la cerchiamo. Però se Speranza e Bersani vogliono andarsene, vadano. L'importante è che finisca il logoramento quotidiano».
LE DIVERSE STRATEGIE
Al Nazareno si sono convinti che Cuperlo, Rossi e Orlando non usciranno e che il rischio riguardi i soli bersaniani. Rischio relativo, agli occhi di Renzi e compagni, che non si mostrano troppo spaventati all' idea di perdere l' ala sinistra: «Tanto Orfini, Martina, Finocchiaro, De Luca, Bonaccini e tanti altri ex ds di peso stanno con noi».
Chi è dato ormai per perso, senza rimpianti da parte dei renziani, è Massimo D' Alema. Per il leader del fronte del No, convinto che la direzione sia stata gestita in modo irresponsabile, il lungo viaggio che porta fuori dal Pd è iniziato: l' ex premier nelle prossime settimane è atteso a Lecce, Benevento, Genova, Savona, Bergamo, Brescia...
Franceschini lavora per convincere il segretario a diluire i tempi del congresso. Martina offre a Renzi la sua mediazione per «scongiurare la scissione».
Cuperlo spera in un sussulto di responsabilità che porti a una ricucitura: «Rompere sarebbe una sciagura». Anche Orlando prova a sventare lo strappo della sinistra. Invoca una «moratoria degli attacchi», sprona Renzi a non «smarrire la strada» e insiste nel proporre una conferenza programmatica: «Bisogna mettere al bando la parola scissione».
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