Piero Matteucci e Monica Rubino per la Repubblica
"Si chiude un ciclo alla guida del Pd". Così Matteo Renzi, alla direzione convocata in via Alibert a Roma, lascia capire che si dimetterà per anticipare il congresso del partito. Che si terrà con le "stesse regole dell'ultima volta", ossia nel 2013, quando Gianni Cuperlo sfidò l'ex premier e l'assise si concluse in due mesi e mezzo.
IL RITORNO DEI CAMINETTI
"Dopo il 4 dicembre le lancette della politica sono tornate indietro, quasi ai tempi della Prima Repubblica: sono tornati i caminetti, ci si perde nei litigi e non si fanno proposte", esordisce Matteo Renzi (maglioncino alla Marchionne, alla sua destra il premier Paolo Gentiloni) dopo aver intonato l'inno nazionale assieme all'assemblea. Poi, rivolto alla minoranza interna, afferma: "Basta amici e compagni, diamoci una regolata tutti insieme. Non è possibile che tutto venga messo in discussione".
La sconfitta del 4 dicembre
A chi lo accusa di non aver discusso a sufficienza la disfatta referendaria risponde: "L'analisi del voto l'abbiamo fatta: io ho pagato il pegno, mi sono dimesso. Se l'errore principale della campagna elettorale è stata la personalizzazione, ho cercato di evitare la personalizzazione almeno nel post referendum". E poi aggiunge: "Da due mesi la politica italiana è bloccata. Improvvisamente è scomparso il futuro da ogni narrazione. L'Italia si è rannicchiata nella quotidianità".
No al ricatto sul calendario
Dopo un'ampia panoramica sui principali fatti accaduti nel mondo (dalla Cina cha apre al libero mercato agli Usa di Trump che si chiudono nel protezionismo fino alle regole dell'Europa da cambiare non da violare), Renzi arriva al punto e rivolto alle opposizioni dem chiarisce: "Si dice o fai il congresso prima delle elezioni o me ne vado. Mi sembra un ricatto morale e sono difficilmente incline a cedere ai ricatti. Fare il congresso come alternativa al renzismo? Troppo onore, il congresso si deve fare come alternativa al trumpismo, al lepenismo, al massimo al grilliamo".
E poi aggiunge: "Non voglio nessuna scissione: se deve essere, sia una scissione sulle idee, senza alibi, e non sul calendario. Agli amici e compagni della minoranza voglio dire: mi dispiace se costituisco il vostro incubo, ma voi non sarete mai il nostro avversario, i nostri avversari sono fuori da questa stanza. Non possiamo più prendere in giro la nostra gente".
Congresso come l'ultima volta
Quindi, tornando sul congresso, conclude, senza annunciare apertamente le sue dimissioni ma facendole sottintendere: "Facciamo il congresso, non sarò il custode dei caminetti. Usiamo le regole dell'ultima volta (quelle del congresso in cui si sfidò con Gianni Cuperlo) ma torniamo alla politica". E riepiloga i suoi successi: "Ho preso un partito al 25% e l'ho portato al 40,8%. Ho dato una casa europea al Pd, inserendolo nel Pse. Ma ora si chiude il ciclo. E chi perde rispetta l'esito del voto. Io non dico andate, dico venite, confrontiamoci, vediamo chi ha più popolo".
LE ELEZIONI
Per Renzi non c'è urgenza di andare al voto: "Il congresso del Pd non si fa per decidere quando si va alle elezioni politiche: prima o poi si andrà a votare. Il Congresso serve per essere pronti quando ci sarà il voto". Contro l'ipotesi di elezioni anticipate si è schierato anche l'ex premier Romano Prodi: "Si voti al tempo dovuto, nel 2018, con collegi uninominali".
La polemica sulle tasse
Renzi conferma infine stima e lealtà al ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, a dispetto di quel gruppo di una quarantina di deputati renziani che ha firmato qualche giorno fa la mozione anti-tasse. E, trasgredendo la sua promessa di non usare più slide, il segretario dem mostra il grafico della curva del debito pubblico, che è sceso nei mille giorni del suo governo.
Nel suo intervento Renzi ha dunque disegnato la road map del Pd nei prossimi mesi, da condividere con una lettera inviata a tutti gli iscritti che contiene sinteticamente tutti i punti enumerati in direzione.
Le opposizioni interne: Cuperlo
Ma le opposizioni interne non si fidano e continuano ad attaccare. Gianni Cuperlo, primo ad intervenire dopo il segretario, però, sottolinea che l'avversario non è Renzi: "Matteo tu non sarai mai il mio avversario. Gli avversari non sono dentro questa sala, tu non hai avversari qui dentro. L'avversario è fuori ed è la destra. Ma il punto è se la tua politica sia quella giusta per sconfiggere la destra", ha detto, insistendo sulla necessità di una 'svolta radicale' nella linea politica, dopo una 'discussione vera'.
"La domanda che poniamo a tutti noi è se chi ha avuto il compito di guidare questa fase, un 'chi' collettivo con luci e ombre, è ancora in grado di porsi alla testa in questa stagione". Bene, quindi, la decisione di convocare il Congresso, ha detto, ma senza 'resa dei conti': "Chi dice contiamoci e vediamo chi ha i voti, usa solo un pedale della bicicletta, ed è difficile restare in equilibrio". E sulle elezioni "conta il quando, ma più il come. Il come è come evitare il quinto governo di larghe intese. Matteo hai ragione, il congresso non si fa per decidere la data del voto. Si fa per decidere cosa dire agli italiani prima che vadano a votare. In questo c'è il legame con la discussione. E poi serve ad aiutare Paolo e il governo".
La preoccupazione di Bersani
"Io sono preoccupato. Dobbiamo vedere se, a prescindere da quello che abbiamo pensato, che è improponibile, a questo tornante c'è qualcosa che ci tenga assieme". L'ex segretario Pd Pier Luigi Bersani, intervenendo in direzione Pd, ha manifestato i suoi timori: "Noi oggi non possiamo accontentarci di artifici retorici, diverse opinioni, frizzi e lazzi... Dobbiamo prendere delle decisioni, per noi, ma prima di tutto per l'Italia. Perché noi stiamo governando questo Paese".
E ha insistito: "È vero o no che una parte di popolo non ci sopporta? Abbiamo questo problema". Per Bersani è necessario fare qualcosa, non solo parlarne, perché avverte: "noi non accoltelliamo alle spalle, avvertiamo che la destra arriva. Ce l'abbiamo già sotto i piedi se conosciamo l'Italia. Questa è una destra che se non togliamo noi i voucher li toglie lei. È una destra sovranista, protezionista. È un campo di idee che sta entrando anche in casa nostra. Sta sviluppando egemonia. Ecco perché serve un campo largo".
Sul Congresso, Bersani ha sottolineato: "Non è vero che mancano le idee, lo dice chi non ce le ha, ci mancano luoghi per discutere, confrontare e affermare le idee. Se diciamo Congresso stiamo dicendo questo o perdiamo l'ultimo treno. Non facciamo le cose cotte e mangiate, organizziamo anche in preparazione del Congresso luoghi di discussione". L'ex segretario ha ribadito che il Congresso Pd deve iniziare a giugno, altrimenti saranno solo le assise "del solipsismo, dell'autoreferenzialità" e se Matteo Renzi scegliesse di accelerare "si apre un problema molto serio".
Bersani a Renzi
Poi, rivolto a Renzi, ha esortato: "Prima di tutto il Paese. Quindi la prima cosa che dobbiamo dire è quando si vota. Comandiamo noi, possiamo lasciare un punto interrogativo sulle sorti del nostro governo? Non possiamo o mettiamo l'Italia nei guai. Io propongo che diciamo non solo il 2018, ma garantiamo davanti all'Europa, i mercati, gli italiani, la conclusione ordinaria della legislatura". E ha concluso: "Non possiamo parlare come la sibilla, lasciare la spada di Damocle sul governo per cui ci si aspetta che si dimetta in streaming...".
Orfini replica a Bersani
A Bersani ha replicato Matteo Orfini: "Vogliamo ancora provare a costruire l'unità tra di noi? Dopo il 4 dicembre abbiamo discusso sul fare o no un Congresso, abbiamo fatto una valutazione: arrivare a scadenza naturale, abbiamo provato a farlo, ma è aumentata la conflittualità interna, da quando abbiamo deciso di decantare, dopo il 4 dicembre, abbiamo assistito a tutto, tranne alla decantazione". E ha insistito: "Il Congresso è stato minacciato e agitato. Il Congresso dura poco? A me sembra che il problema del nostro partito è che il Congresso non finisca mai".
Orfini ha poi evidenziato che "la precarizzazione della mia generazione nasce con i governi di centrosinistra. Perché abbiamo introdotto la flessibilità, ed era giusto, ma non abbiamo adeguato il welfare. Ed è nata la precarizzazione"
Il presidente della Toscana Rossi
Non nega che ci sia stato impegno, ma i risultati non sono stati adeguati il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi: "Un conto è stato il risultato elettorale alle Europee, altro conto è una sequela di risultati sui territori che non sono stati assolutamente incoraggianti - ha detto nel suo intervento -. Dobbiamo domandarci se la nostra azione di governo è stata adeguata. Io non dico che non c'è stato impegno. Quello che a mio parere è mancato - ha aggiunto - sono alcune scelte fondamentali. E persino una visione di fondo del Paese. E cioè quali forze sociali vogliamo aiutare e quale sistema di alleanze vogliamo perseguire. Su questo non siamo stati adeguati".
Per il governatore è chiaro che "si è esaurita una fase e non si tratta di mettere i discussione nessuno. Non credo di offendere nessuno se dico che c'è stata, anche prima di Matteo, una sinistra troppo accondiscendente al mondo così com'è...Possibile che un partito come il nostro non riesca a trovare un linguaggio per fare capire che il mondo così com'è non è il nostro orizzonte?", ha aggiunto Rossi secondo il quale "Dobbiamo uscire da un riformismo troppo debole, e proporre un cambiamento più robusto della società".
La vicesegretaria Serracchiani
Il Congresso va fatto, ma deve essere un 'Congresso vero', ha detto la vicesegretaria del Partito Democratico, Debora Serracchiani: "Non è una questione di tempistiche, ma di serietà di ciò che andiamo a fare. Abbiamo bisogno di coinvolgere i nostri iscritti, militanti e simpatizzanti cosa pensano di questioni chiave come immigrazione, ius soli, abolizione delle province".
Ma un Congresso che non duri 8 mesi e "Non un congresso che portiamo all'interno di questo governo perché faremmo il male del governo e del Pd - ha spiegato -. Nessuno mette in dubbio la lealtà al governo Gentiloni. Mettiamo in campo il Pd, non i pd, perché ce n'è uno soltanto. Nessuna resa dei conti, ma non voglio sia l'ennesimo pezzo di un Congresso permanente del Pd". Per Serracchiani, uno dei punti di debolezza del Pd è che parla con troppe voci diverse, mentre "la voce della destra è più forte, unica, parla con parole semplice e rappresenta anche le paure della sinistra italiana a cui non stiamo dando risposte".
Il Governatore Emiliano
Il governatore della Puglia Michele Emiliano, ha ribadito che "quella di candidarmi alla segreteria è una cosa che sento di fare, necessaria": "Io non appartengo a nessuna corrente. Sono un singolo. Ho sostenuto Renzi per il cambiamento, ma in questi 1.000 giorni io molte volte non ho capito dove voleva andare", ha detto. E ha accusato il segretario di essere apparso, a volte, troppo lontano dagli elettori.
La rabbia del vicesegretario Guerini
Un ring insomma, che fa infuriare il vicesegretario Lorenzo Guerini: "Basta logoramento interno" dice e il vicepresidente dem Matteo Ricci incalza al Gr1: "Hanno paura del congresso anticipato perché sanno che gli elettori del Pd stanno dalla parte di Renzi". Il deputato renziano Matteo Richetti si augura "un chiarimento definitivo, che dopo consenta di procedere uniti, sapendo che il Pd e la sua leadership sono un valore per tutti". Mentre il suo collega d'aula e segretario del Pd toscano Dario Parrini si definisce "sconcertato dalla leggerezza di chi agita scissioni" e scrive su Facebook
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